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venerdì 2 dicembre 2011

BOLOGNA SENZA WELFARE: POSTIAMO INTERVENTO VALENTINO P. (LA PIAZZA EDUCATIVA-BOLOGNA).

Vorremmo partire condividendo il sentimento di angoscia che cresce dentro di noi quando ascoltiamo le storie degli educatori nostri colleghi già laureati, che non trovano lavoro e, dopo anni di contratti precari e sottopagati, scelgono di fare altri lavori perché orami è chiaro, almeno dal messaggio che ci ritorna dal clima che respiriamo, che da educatori "non si campa". Come facciamo a spiegarci che gli sforzi fatti per anni non sono stati un investimento per un futuro migliore? Come possiamo accettare che la nostra laurea è inutile perché tanto l'educatore si può fare anche senza il titolo in scienze della formazione? Come facciamo ad accettare che il lavoro per noi non c'è perché i servizi socio-educativi sono stati smantellati? Ma la fatica è sopratutto quella di spiegare a noi stessi come sia possibile che in una città come Bologna, famosa proprio per i suoi servizi educativi fra i primi in Italia, si scelga di costruire il People Mover che è un opera inutile e dannosa per l'ambiente, mentre si parla del normale arrivo arrivo dell'inverno nei termini di "emergenza freddo" e, come al solito, si cerca di tamponare i buchi dei servizi sociali che, mentre l'alta velocità avanza, piano, piano scompaiono, vengono demoliti e con loro tutto il welfare.

Un altro motivo del nostro sconcerto riguarda il fatto che sempre di più vediamo il ruolo dell'educatore svilito e svuotato della sua importanza: questo sia perché molte cooperative che si occupano di servizi socio-sanitari puntano al ribasso dedicando sempre meno risorse per l'educativa, tagliando le ore di lavoro e interi servizi educativi che vengono trasformati in luoghi per l'assistenzialismo; e sia perché molto spesso le scelte dell'amministrazione sembrano prediligere il volontariato pensando all'educatore come ad missionario che ogni giorno opera per vocazione; l'educatore non è affatto un benefattore, è una professione e come tale ha diritto alla giusta remunerazione ed è colui che spende le proprie competenze specifiche e professionali per rispondere al diritto di cura e riabilitazione degli utenti che incontra ogni giorno. Perché sì, il welfare è un diritto ed è troppo facile liquidare il problema dando la colpa alla crisi e ai tagli dello Stato: diciamo invece che si tratta di scelte politiche precise!

Quando parliamo di servizi socio-educativi, infatti, non possiamo partire dal fatto che i tagli impediscono la loro esistenza ma dobbiamo partire dicendo che sono diritti essenziali ai quali le risorse devono essere destinate in modo prioritario!

Che tipo di città vogliamo costruire? Una città dove agli ultimi si fa la carità o una città dove si vuole dare agli ultimi l'opportunità di diventare i primi? e quando dico ultimi non mi riferisco solo ai nostri utenti ma anche a noi stessi in quanto educatori, in quanto studenti, in quanto giovani.

Alla luce di ciò all'Università, che sappiamo non essere un ufficio di collocamento, chiediamo però che senso abbia formare educatori se poi non esistono per queste figure sbocchi occupazionali? é questo il motivo per cui le chiediamo di prendere una posizione netta ed esplicita a favore dei suoi studenti, chiediamo che l'università di metta la faccia nella difesa dei servizi-educativi e del ruolo dell'educatore, a livello prima di tutto cittadino.Lo chiediamo con ancora più forza sopratutto dopo aver visto che al Recruiting Day, organizzato in facoltà, le aziende che sono venute ad offrirci ipotetici lavori (che poi sappiamo bene essere in realtà solamente tirocini non pagati!) erano Leroy Merlin, Mars Italia e un'azienda che si occupa di alta velocità, che ai nostri occhi è sembrato come dire che l'unico futuro che ci viene offerto è quello di commesse e commessi in un negozio di bricolage.

Per concludere, in quanto educatori, vorremmo ricordare lo stretto legame fra PEDAGOGIA e POLITICA nel senso che ogni azione e scelta politica è anche intrinsecamente un'azione educativa e viceversa ogni azione educativa è anche un atto politico. Questo per sottolineare che le politiche di welfare non possono essere fatte sull'onda della gestione di una continua emergenza, perché questo significa di fatto svilire sempre di più la progettualità educativa. Ci chiediamo perciò quando finalmente dall'emergenza si passerà al progetto e alla prevenzione e ci auspichiamo che avvenga presto perché siamo convinti che solo nella progettualità si possa esprimere la volontà politica di costruire una città davvero sostenibile per tutti contro la sfrenata corsa per tappare i buchi creati da continue emergenze che ri-generano se stesse.

Collettivo La PiazzaEducativa


giovedì 1 dicembre 2011

BOLOGNA SENZA WELFARE: POSTIAMO INTERVENTO SIMONA B. (EDUCATORI/TRICI CONTRO I TAGLI.

Riprendendo il discorso fatto da Rosario nella premessa, sono convinta che ci sia veramente bisogno di una riconnessione tra tecnico ed amministrativo. Lo scollamento di questi due piani ha generato una forte incapacità di rispondere al bisogno dei cittadini, paradossalmente con un maggiore spreco di risorse, perchè chi decide quali servizi tagliare o spezzettare si basa su principi puramente economici: non ci sono soldi, bisogna tagliare! Questo continuo stagliuzzare i servizi  “indebolisce le strategie” per il raggiungimento degli obiettivi dei servizi. 

Continuiamo da diversi anni ad assistere ad un processo di riduzione degli investimenti sul welfare, rendendo sempre meno produttive e autonome quelle persone (giovani, adulti, anziani e disabili) che si trovano in una condizione di  svantaggio, perchè non hanno la possibilità economica ad accedere ai servizi privatizzati. Mentre questi soggetti ad oggi svantaggiati potrebbero diventare produttivi ed autonomi all'interno di una comunità, attraverso questi tagli si rischia di creare una corsia preferenziale verso l'indigenza. (penso solo alla diminuzione del numero di  BL per soggetti svantaggiati, ai tagli sui minori non accompagnati, all'aumento della disoccupazione senza dar vita a forme di protezione quale il reddito di cittadinanza, ecc ecc)..

Le domande che mi pongo sono:

·         ma la città di Bologna è disposta ad evidenziare un limite oltre il quale non si può andare?

·         quali sono le priorità di coloro che hanno poteri amminstrativi/decisionali di una comuntà: mantenere il bilancio positivo,  senza un'attenta valutazione delle priorità sociali o essere capaci di porre la dignità di un individuo in difficoltà come priorità di bilancio?



Quello che spaventa tutti gli educatori, gli operatori, gli insegnanti, i  cittadini, i genitori è la prospettiva di un vuoto dei servizi sociali, attraverso questi tagli che sembrano o sono la causa della loro privatizzazione.

                                                                                     Simona Bruni

mercoledì 30 novembre 2011

BOLOGNA SENZA WELFARE: POSTIAMO INTERVENTO DI PAOLO C. (EDUCATORI CONTRO I TAGLI).

EDUCATORI CONTRO I TAGLI





Io sono a favore di un welfare che contempli nella sua operatività quotidiana l’esistenza di progetti educativi di inclusione sociale, non mi interessano i servizi banalmente assistenziali che di tanto in tanto elargiscono piccole elemosine a caso.

La mia paura è che non ci sia piena consapevolezza della posta in gioco, ovvero di cosa possa implicare dal punto di vista culturale lo svilimento dei servizi sociali. Per quel che riguarda la prevenzione al disagio minorile non starò qui ad approfondire concetti autorevolmente trattati da tanti studi sulla materia, mi limito ad elencarli: maggiori costi per l’istituzionalizzazione dei ragazzi non supportati preventivamente da progetti educativi sul territorio, aumento esponenziale della dispersone scolastica, acuirsi del conflitto sociale ecc. ecc. Come si può ben capire le conseguenze del progressivo svilirsi di questi servizi ricade su tutti i cittadini e non solo su chi di questi servizi è stato storicamente beneficiario.

Discorso ancor più complesso per quel che riguarda l’handicap o i servizi di salute mentale. Il taglio deciso a finanziamenti ormai consolidati da anni, la sensibile riduzione di percorsi educativi (ad esempio all’interno delle scuole) a sostegno di questi nostri concittadini significherebbe un pesante arretramento culturale della società, un ritorno al periodo in cui non c’era neppure un supporto normativo a favore delle istanze dei disabili e delle loro famiglie (la creazione dei Servizi, la L. 180 sono degli anni settanta, la L.104 e la L.68 ancor più recenti). Si tornerebbe al periodo dei disabili chiusi in casa, posti nell’impossibilità di viversi la propria vita con la pienezza che gli aiuti e i supporti educativi e non, fino ad oggi hanno potuto garantire. Se la civiltà di un paese si misura con la sua capacità di accogliere e aiutare i membri più in difficoltà, in pratica si tornerebbe alla vergogna e all’inciviltà.

Che fare allora?

Noi operatori sociali abbiamo il dovere di farci sentire dappertutto, non è questo il tempo della delega. Siamo noi che con il nostro lavoro di prossimità rileviamo i bisogni del territorio, noi dunque i soli che possano portare progetti di risposta dentro ai tavoli di governo di questa città e di questa provincia. Dobbiamo essere costanti portatori di questa concretezza e non disgiungerla mai dal sogno del cambiamento: in troppi nelle stanze del potere continuano a credere che questo sia l’unico mondo possibile, per noi non è così. La crisi è strutturale, la risposta alla crisi non può che essere un cambiamento strutturale dell’organizzazione sociale. Un cambiamento nel segno dell’equità e della solidarietà, per quel che ci riguarda.

E infine il lavoro. La riduzione del welfare implica la riduzione dei posti di lavoro per le nostre professioni, ci stiamo attrezzando nel 2012 per questo? Lo chiedo soprattutto ai sindacati, con cui dovremo, pur custodendo la nostra identità di movimento trasversale, di lavoratori sviluppare un’azione di lotta e di proposta per preservare occupazione dignitosa e qualità del Servizio.

Il nostro mestiere è bello, dovremmo esserne maggiormente orgogliosi, noi non costruiamo armi, non speculiamo in borsa, non lucriamo sulle disgrazie degli altri, noi creiamo relazioni d’aiuto: io credo che valga la pena di battersi per la sopravvivenza di questa professione.



                                                                                                  Paolo Coceancig


lunedì 28 novembre 2011

BOLOGNA SENZA WELFARE; POSTIAMO INTERVENTO ASSISTENTI SOCIALI DI CASALECCHIO DI RENO:

Assistente Sociale - Casalecchio di Reno



Questa sera sono qui in rappresentanza delle assistenti sociali del distretto di Casalecchio di Reno, la maggior parte delle quali del Settore Minori.
Da qualche mese ci stiamo incontrando in orario extralavorativo e abbiamo costituito un gruppo che si sta interrogando sulle problematiche che riguardano nello specifico la nostra professione.
Momenti come l'assemblea di questa sera sono molto importanti per noi perchè ci danno la possibilità di far conoscere la difficile situazione in cui lavoriamo, di far conoscere il nostro lavoro: chi è e che cosa fa l'assistente sociale; cittadini, politici, operatori stessi del sociale e non, non sanno veramente cosa facciamo e quindi per semplificare, sbagliando, indicano l'ass.sociale come l'operatore che assegna la casa comunale, porta via i bambini dalle loro famiglie....e i mass media non fanno altro che alimentare questa visione distorta del nostro ruolo.
Veniamo viste come operatori che lavorano "dietro le quinte" ( o dietro una scrivania), con poche responsabilità, e con capacità decisionali sulle risorse che in realtà non abbiamo.
L'a.s lavora a vari livelli con educatori professionali, psicologi, medici, mediatori culturali,amministratori di enti, giudici, volontari, ecc. svolgendo il proprio ruolo "individuando, coordinando e promuovendo azioni per prevenire e cercare di risolvere situazioni di disagio di singoli, gruppi o della comunità"...insieme ai singoli, ai gruppi, alla comunità, con elevate responsabilità civili e penali nell'ambito di intervento lavorativo in particolar modo di quello del settore minori.
Su noi assistenti sociali grava l'attribuzione stratificata di responsabilità a fronte ( soprattutto in questo periodo di consistenti tagli al welfare) di: aumento considerevole dei bisogni delle famiglie, insufficienza di personale che non viene colmata poichè i comuni non hanno i fondi per farlo, mancanza di risorse economiche e tagli di servizi destinati ai cittadini.
In tutto questo, l'assistente sociale diventa una professione fragile, e questo lo sanno bene i media, i politici, gli utenti."Siamo diventati una figura utile su cui scaricare rabbia, tensioni sociali,un comodo ammortizzatore delle inadempienze altrui".
E cosi' siamo "mandate in trincea", il primo contatto con i cittadini che sentono e sanno che siamo la professione piu' esposta a rischi: per la collocazione in luoghi isolati dei nostri uffici ad esempio, perchè siamo noi che dobbiamo dire alle famiglie che le risorse economiche sono finite e la loro domanda di contributo non puo' essere accolta con i rischi che ne conseguono.E i rischi si concretizzano in minacce, aggressioni verbali e fisiche gravi.
E quando un operatore viene aggredito intorno a lui...il vuoto..da parte dei politici, dei dirigenti del Servizio perche' si generalizza facilmente pensando che l'aggresisone subita riguarda il singolo e non tutto il Servizio Sociale, e che in fondo tutte le professioni sono a rischio di aggressioni ( senza distinzione alcuna- ed oggettiva- di ruoli, funzioni, maggiore contatto con l'utenza, responsabilità...).
Chiediamo pertanto ai nostri politici e dirigenti di diffondere una politica di tolleranza zero verso atti di violenza fisica e verbale assicurandosi che operatori, utenti, cittadini siano a consocenza di tale politica.
Chiediamo loro di assumersi le proprie responsabilità, di non scaricare su di noi piu' responsabilità di quelle che derivano dalla nostra professione.Se i tagli al welfare dipendono dalla crisi dello stato che a pioggia taglia risorse e servizi agli enti locali, non puo' essere il servizio sociale (e quindi noi) lasciato solo a fronteggiare la disperazione delle persone per la mancanza di risposte ai loro bisogni.
Noi le nostre responsabilità ce le assumiamo giorno dopo giorno, non siamo disponibili però ad assumerci quelle degli altri.
I tagli al welfare si declinano per noi nella maggiore esposizione al rischio per i motivi sopra esposti; sempre di piu' vi è l' attribuzione di alcune funzioni, o la volontà di attribuirne delle altre, che sono proprie dell'educatore professionale per risparmiare sugli stipendi dei colleghi con la conseguente deprofessionalizzazione nostra e degli educatori, con la valutazione che in fondo le assistenti sociali possono fare tutto....perchè il loro lavoro in fondo è una vocazione.....
Noi siamo dei professionisti, come i colleghi educatori, abbiamo studiato, ci siamo formati e ci specializziamo per svolgere il nostro lavoro.E per questo facciamo fatica a lavorare in servizi che, se un tempo lavoravano sulla progettualità, sul lavoro di equipe multidisciplinare (data la multidimensionalità dei bisogni), sulla prevenzione, oggi con i tagli al welfare rischiamo di lavorare (con i seri danni che ne conseguono) in servizi di improvvisazione e approssimazione.
Viviamo un periodo in cui vi è una forte discrepanza tra le esigenze dell'organizzazione (riduzione-tagli dei servizi, risorse economiche, non risposte a sfratti) e le esigenze di noi assistenti sociali di mantenere la nostra specificità professionale.
Queste discrepanze si verificano sia per l'incremento considerevole del carico di lavoro a cui non corrisponde un adeguato sistema di "ricompense" e di linee guida scritte e condivise sulle priorità di intervento, sia per il sistema di valori individuali che non sempre è in linea con gli obiettivi di efficenza ed efficacia cui sottostanno le organizzazioni nella logica aziendale oggi imperante.
Dunque oggi piu' che mai è indispensabile che i servizi sociali territoriali siano sostenuti, rinforzati attraverso strategie rivolte a rispondere ai bisogni della comunità e degli operatori stessi.
Ci rendiamo pertanto disponibili ad essere utili interlocutori per proposte di miglioramento relative alla nostra professione e ai nostri servizi, a lavorare insieme al nostro Ordine professionale e al nostro Servizio e ai Comuni presso cui lavoriamo.