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mercoledì 30 novembre 2011

BOLOGNA SENZA WELFARE: POSTIAMO INTERVENTO DI PAOLO C. (EDUCATORI CONTRO I TAGLI).

EDUCATORI CONTRO I TAGLI





Io sono a favore di un welfare che contempli nella sua operatività quotidiana l’esistenza di progetti educativi di inclusione sociale, non mi interessano i servizi banalmente assistenziali che di tanto in tanto elargiscono piccole elemosine a caso.

La mia paura è che non ci sia piena consapevolezza della posta in gioco, ovvero di cosa possa implicare dal punto di vista culturale lo svilimento dei servizi sociali. Per quel che riguarda la prevenzione al disagio minorile non starò qui ad approfondire concetti autorevolmente trattati da tanti studi sulla materia, mi limito ad elencarli: maggiori costi per l’istituzionalizzazione dei ragazzi non supportati preventivamente da progetti educativi sul territorio, aumento esponenziale della dispersone scolastica, acuirsi del conflitto sociale ecc. ecc. Come si può ben capire le conseguenze del progressivo svilirsi di questi servizi ricade su tutti i cittadini e non solo su chi di questi servizi è stato storicamente beneficiario.

Discorso ancor più complesso per quel che riguarda l’handicap o i servizi di salute mentale. Il taglio deciso a finanziamenti ormai consolidati da anni, la sensibile riduzione di percorsi educativi (ad esempio all’interno delle scuole) a sostegno di questi nostri concittadini significherebbe un pesante arretramento culturale della società, un ritorno al periodo in cui non c’era neppure un supporto normativo a favore delle istanze dei disabili e delle loro famiglie (la creazione dei Servizi, la L. 180 sono degli anni settanta, la L.104 e la L.68 ancor più recenti). Si tornerebbe al periodo dei disabili chiusi in casa, posti nell’impossibilità di viversi la propria vita con la pienezza che gli aiuti e i supporti educativi e non, fino ad oggi hanno potuto garantire. Se la civiltà di un paese si misura con la sua capacità di accogliere e aiutare i membri più in difficoltà, in pratica si tornerebbe alla vergogna e all’inciviltà.

Che fare allora?

Noi operatori sociali abbiamo il dovere di farci sentire dappertutto, non è questo il tempo della delega. Siamo noi che con il nostro lavoro di prossimità rileviamo i bisogni del territorio, noi dunque i soli che possano portare progetti di risposta dentro ai tavoli di governo di questa città e di questa provincia. Dobbiamo essere costanti portatori di questa concretezza e non disgiungerla mai dal sogno del cambiamento: in troppi nelle stanze del potere continuano a credere che questo sia l’unico mondo possibile, per noi non è così. La crisi è strutturale, la risposta alla crisi non può che essere un cambiamento strutturale dell’organizzazione sociale. Un cambiamento nel segno dell’equità e della solidarietà, per quel che ci riguarda.

E infine il lavoro. La riduzione del welfare implica la riduzione dei posti di lavoro per le nostre professioni, ci stiamo attrezzando nel 2012 per questo? Lo chiedo soprattutto ai sindacati, con cui dovremo, pur custodendo la nostra identità di movimento trasversale, di lavoratori sviluppare un’azione di lotta e di proposta per preservare occupazione dignitosa e qualità del Servizio.

Il nostro mestiere è bello, dovremmo esserne maggiormente orgogliosi, noi non costruiamo armi, non speculiamo in borsa, non lucriamo sulle disgrazie degli altri, noi creiamo relazioni d’aiuto: io credo che valga la pena di battersi per la sopravvivenza di questa professione.



                                                                                                  Paolo Coceancig


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