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venerdì 23 dicembre 2011

POSTIAMO NOSTRO COMUNICATO RIGUARDO IL RINNOVO DEL CCNL COOPERATIVE SOCIALI

Contratto Nazionale 2010-12: Vota NO!!!



Venerdì scorso è stata firmata l’ipotesi d’accordo sul CCNL delle Cooperative sociali tra CGIL; CISL e UIL , Legacoop, Confcooperative, AGCI e Federsolidarietà.
Un contratto che è scaduto alla fine del 2009 e che vede i lavoratori del settore, già duramente provati dalla crisi, dai tagli nazionali e locali, privi ormai da due anni di un qualsivoglia aumento contrattuale degno di questo nome.
La strategia che ha portato alla firma di venerdì scorso è stata una non-strategia.
In un confronto durato due anni non c’è stato nessun serio tentativo di mettere in difficoltà le organizzazioni cooperative, a parte qualche sporadico presidio, mentre CGIL ha deciso di sacrificare all’altare dell’unità sindacale ogni velleità conflittuale.
Questo accordo è infatti l’applicazione concreta della linea di Cisl e Uil sulla contrattazione.
E’ la linea del “quieto vivere” non solo con le cooperative, ma anche con gli enti locali che dovranno rispettare (sempre che lo facciano) quelle tabelle nella costruzione delle gare d’appalto. 

Viene proposto un aumento di 70 euro (lordi, ovviamente), che non viene erogato in un'unica soluzione, ma in tre tranches:
euro 30 dal 1 gennaio 2012 al livello CI
euro 20 dal 1 ottobre 2012 al livello CI
euro 20 dal 1 marzo 2013 al livello CI 

L’ultima tranche, massima ironia, arriverà a contratto scaduto….sicuramente un incoraggiamento a rinnovare l’accordo con la massima rapidità.
Tra le altre cose, non viene riconosciuto neanche un euro di arretrati per quanto riguarda i due anni persi dalla scadenza dell’ultimo Ccnl.



Apprendistato



La grande novità del Ccnl 2010-12 è l’introduzione dell’apprendistato formativo.
Come si sa il contratto di apprendistato, normato dal Dlgs 276/2003, non era stato fino ad applicato nelle cooperative sociali.
Si tratta di un aspetto che interesserà tutti i livelli, dalla A alla E, prevedendo retribuzioni tra l’85% e il 90% del salario pieno della qualifica da conseguire.
Si consente alle aziende di assumere un numero di apprendisti che può arrivare a un numero pari all’80% del resto dei dipendenti della cooperativa stessa.
E’ un passaggio pericolosissimo, che metterà le cooperative in condizione di prendere in apprendistato educatori o pedagogisti neolaureati, fino all’età di 29 anni, laddove fino ad ora queste figure venivano assunti a tempo indeterminato per le stesse mansioni. 
Incidentalmente, vale la pena ricordare che si parla delle stesse figure professionali che, nel quadro del percorso di studi, devono fare un tirocinio formativo di 400 ore, non retribuito.
Come se non bastasse, ora non si riconosce più a quel tirocinio e a quella laurea un valore abilitante, che può essere dato solo dall'apprendistato.
Inoltre il periodo di apprendistato non è considerato utile ai fini della maturazione dell’anzianità, per cui il lasso temporale (fino a 36 mesi per le mansioni più qualificate) non è conteggiato all’interno degli scatti.
C'è un modo più subdolo per risparmiare sul costo del lavoro?



Sanità integrativa



All’interno dell’ipotesi di accordo è anche previsto un contributo di 5 euro che ogni cooperativa dovrà versare a fondi privati per l’assistenza sanitaria integrativa.
Si sottolinea che questo fondo non è sostitutivo ma integrativo, ma secondo noi è sbagliato il principio stesso.
Quella degli enti bilaterali e dei fondi integrativi è il cavallo di battaglia di diverse organizzazioni sindacali, a partire dalla Cisl, che hanno una visione del sindacato come un erogatore di servizi e di tutela.
Perché andare a rafforzare questo sistema di potere, che travisa il ruolo del sindacato, invece di versare quei soldi direttamente in tasca agli operatori?



L’applicazione del contratto



Al pt.2, art.76 si prevede la possibilità di ricorrere a percorsi di “gradualità concordata” dalle parti per quanto riguarda l’applicazione del Ccnl.
Attenzione, perché stiamo parlando di un settore che pochi anni fa è riuscito ad emergere dal salario medio convenzionale e ora rischia di finire di nuovo nella gabbia del lavoro “a sovranità limitata”.
Certo, ci verrà spiegato che questo passaggio serve ad esercitare una funzione di controllo nei confronti delle cooperative, per evitare che la non applicazione sia unilaterale e non concordata.
Verrà anche sottolineato che le regioni in cui il contratto viene effettivamente applicato sono quelle del centro- nord, mentre nel resto del paese si lavora sulla base dei regolamenti interni delle cooperative.
Ma perché fare una concessione del genere sul Ccnl, aprendo al piano inclinato delle richieste di gradualità, sdoganando il principio della derogabilità della parte economica del contratto a partire dalla seconda tranche?
Il rischio non è conferire l’assoluzione preventiva non solo alle cooperative, ma a decine di Ausl, ex IPAB, enti locali che stanno decidendo di mettere la tenuta dei servizi sociali in appalto in fondo alla lista delle priorità?
Com’è possibile in un comparto come il Terzo settore resistere alla morsa del volontariato e dell’associazionismo se si accetta il principio della applicazione graduale? 

Nel mese di gennaio si terranno assemblee consultive nei luoghi di lavoro.

Il nostro invito è quello di andare a votare no.

Vogliamo un contratto senza apprendistato, in cui siano riconosciuti realmente professionalità e titolo di studio.

Vogliamo un contratto che ci permetta di sopravvivere.

Vogliamo un contratto che non sia un regalo alle esigenze di bilancio delle amministrazioni locali e del mondo cooperativo.



Educatori ed educatrici contro i tagli












giovedì 22 dicembre 2011

RIPRENDIAMO DAL FATTOQUOTIDIANO.IT LETTERA APERTA AL MINISTRO FORNERO/SAN PRECARIO:

Lettera aperta al ministro Fornero
Spett. ministro del Welfare Elsa Fornero,

Siamo precarie e precari. Nel lavoro. Nel reddito. Nel welfare. Nei diritti. Negli affetti. Nelle tutele. Nell’accesso ai saperi ed ai consumi. Nell’esercizio della cittadinanza. Nei sogni, nel tempo. Siamo precari e precarie e non lo abbiamo scelto. Siamo i milioni di collaboratrici e collaboratori a progetto, partite iva, interinali, stagiste e stagisti, lavoratrici e lavoratori in affitto. Siamo il motore di un’economia in crisi e al contempo i primi soggetti sacrificabili.

Ci può incontrare ovunque: nei call center, nelle agenzie strumentali dei vostri Ministeri, nelle università, nei centri di ricerca, nelle scuole, nei supermercati, nei giornali e nell’editoria, nelle corsie degli ospedali e nelle caserme dei vigili del fuoco. Non esistono luoghi in cui non siamo presenti, perché siamo il frutto delle politiche “per lo sviluppo e l’innovazione” e delle “riforme” del mercato del lavoro realizzate negli ultimi quindici anni da chi ci ha governato e ci governa.

Siamo donne alle prese con una parità di genere tutta apparente, senza tutele, a partire dalla maternità; siamo migranti che sotto il ricatto del permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro contribuiamo al benessere di questo paese, pagando pensioni che non avremo mai, partecipando a un sistema che non ci vuole cittadini, mentre un’aria pesante e razzista arma le mani più brutali. Siamo giovani e meno giovani, intere generazioni precarie costrette a vivere un presente dilatato che non permette di progettare il futuro: giovanissimi diplomati e laureati in un sistema di istruzione e formazione martoriato, vissuti all’ombra della retorica della meritocrazia ma senza un lavoro degno di questo nome; ultra 40enni, iperqualificati e supertitolati, spesso madri e padri di famiglia, costretti a cercare altrove il nostro destino; gli over 50, i reietti, quelli che il mercato del lavoro una volta espulsi considera “vuoti a perdere”. I nostri figli nascono già precari: per via del debito, del futuro oscuro e di un globo che non sa se sopravvivrà ai prossimi anni.La crisi ha fatto esplodere la precarietà, rendendo incerto il presente anche dei cosiddetti lavoratori “garantiti”. Noi che eravamo le giovani e i giovani in difficoltà abbiamo visto i nostri padri e le nostre madri diventare precari come noi, rischiare di essere licenziati a più di 50 anni e di vedere le loro pensioni sempre più lontane e sempre più misere.

E se una crisi iniziata 4 anni fa e negata nel corso degli ultimi 2 anni è stato il frutto avvelenato del governo Berlusconi e dei suoi ministri “nani e ballerine”, questo governo è certamente più serio e preparato. Lo è talmente tanto che riuscirà ad imporre per l’ennesima volta ricette fondate sul presupposto che il mercato (anzitutto finanziario) è sovrano e le nostre vite al suo servizio.

E noi, precari e precarie, continuiamo ad avere contratti di ogni tipo, con l’unica garanzia di uno sfruttamento costante e un debito, condiviso con tutti i cittadini e le cittadine del nostro paese. Un debito chiaramente non nostro, che ci chiedono di pagare per soddisfare gli appetiti insaziabili di una divinità onnipotente e dagli umori incostanti: il mercato, appunto, che sembra placarsi solo con sacrifici umani. Per noi non sono previste che briciole di uno stato sociale sempre più ridotto all’osso. Altro che workfare: WorkFear, un welfare fatto solo di paura messa al lavoro! Il Governo Monti, il Suo Governo, si è dato come prossimo impegno quello di convocare un tavolo “con le parti sociali al fine di riordinare il sistema degli ammortizzatori sociali e degli istituti di sostegno al reddito e della formazione continua”.

Cara ministro, Lei sa benissimo che oggi i cosiddetti lavoratori parasubordinati, coloro che sono iscritti alla gestione separata, tengono in attivo i conti dell’Inps. Secondo le previsioni, l’ammontare medio di una pensione a gestione separata è di 1570 euro l’anno, 130 euro al mese. Come sa bene anche che i collaboratori a progetto non usufruiscono di alcun ammortizzatore sociale, se non nella ridicola formula dell’una tantum sperimentata dal precedente Governo. Con il passaggio generalizzato al sistema contributivo noi, intere generazioni di “intermittenti”, non avremo mai una vecchiaia sostenuta da un reddito minimamente degno. Dopo aver fatto i conti quotidianamente con la giungla della precarietà, passeremo la seconda parte della nostra vita a fare i conti con i deserti della povertà. La riconfigurazione dell’attuale sistema degli ammortizzatori sociali, iniquo ed arretrato, passando per la riforma del sistema previdenziale, creerà inoltre un inevitabile conflitto generazionale.

Non vogliamo tutele contrapposte a quelle di altri, vogliamo rispetto, solidarietà e libertà comune. Il reddito che voi immaginate minimo e per sostenere la libertà di licenziarci, noi lo vogliamo di base, universale e incondizionato, lavoro o non lavoro, per sostenere la libertà di scelta sulle nostre vite. Ci siamo interrogati a lungo sul significato delle Sue lacrime, cara Ministro. Ma la sola cosa che sappiamo, al momento, è quel che fa la differenza: ci sono lacrime, pietistiche e paternalistiche, compatibili col sacrificio dei nostri diritti e dei nostri sogni; e ce ne sono altre scomode, di rabbia, furore e gioia, che non hanno cittadinanza.

Noi precarie e precari, che distribuiamo quotidianamente ricchezza sociale a un paese che la utilizza non certo per il nostro benessere, il nostro futuro e la nostra felicità, noi “l’Italia peggiore” oggi riprendiamo la parola sul lavoro, sul reddito, sugli ammortizzatori sociali, sul sistema pensionistico, sulla maternità/paternità, sul welfare, sul modello di sviluppo, sulla vita.

(Vignetta di Arnald)

lunedì 19 dicembre 2011

POSTIAMO COPERTINA E INTRODUZIONE BROCHURE "BOLOGNA SENZA WELFARE":



Parlare di welfare a Bologna



“Puoi condurre il cammello alla fonte, ma non puoi costringerlo a bere.” (antico proverbio arabo)



“Cà nisciuno è fesso” (Totò)



Quando abbiamo deciso di lanciare “Bologna senza welfare” non avevamo idea di dove saremmo andati a finire, né cosa saremmo riusciti a mettere insieme. E neppure chi avremmo incontrato lungo il percorso.

In realtà, almeno per ora, non è che siamo andati molto in là, ma abbiamo promosso nuovi spazi di dialogo fra chi vive tutti i giorni la prossimità con l’utenza. Non ci pare poco.

Siamo educatori, assistenti sociali e domiciliari, operatori socio-sanitari, attivisti, volontari e studenti. Siamo donne e uomini che vivono sulla propria pelle le conseguenze dello svilimento di un welfare che ha da tempo rinunciato al ruolo nobile cui la storia dell’evoluzione del pensiero sociale europeo l’aveva chiamato: quello di riconoscere ad ogni individuo, fosse anche il più debole, un ruolo attivo, propulsivo all’interno della società.

Siamo i penultimi, esistenze in attesa del momento in cui ci verranno a dirci che tocca a noi, che siamo anche noi i benvenuti nel mondo degli esclusi. 

Ecco, da noi volevamo partire.

Si parla tanto di bisogni, si parla tanto di bilanci, ma a chi lavora sul campo non viene mai richiesto neppure un parere.

Così ce la siamo presa noi la parola. Da soli.

Sentivamo l’esigenza di misurarci con interlocutori significativi e di confrontarci con alcune figure che le politiche del welfare in qualche modo le determinano, almeno a livello cittadino.

Parallelamente, pur partendo da posizioni di differenza e di cautela rispetto alle scelte dei partiti e dei sindacati, ci sembrava utile “tastare il polso” alla sinistra bolognese: molti di noi hanno sulle spalle anni di militanza e attività politica nella sinistra strutturata e in quella che si è auto-organizzata nei centri sociali e nei movimenti.

Ci piaceva l’idea di lanciare quindi un’assemblea pubblica in uno spazio “conquistato” dai Draghi Ribelli e trasformato per alcune sere in agorà della comunicazione e dell’ascolto attivo.

Cosa ci siamo detti quella sera?

Soprattutto che lo stato sociale del nostro paese è a un bivio: da una parte la sopravvivenza, dall’altra l’estinzione. Tanti sono i motivi che ci hanno portato a questo stato di cose.

Le cause macro-economiche hanno certo avuto un ruolo decisivo: l'aumento del debito pubblico dal 2007 è cresciuto di 16 punti percentuali, mentre il Prodotto Interno Lordo è calato contemporaneamente del 3,8%.

E poi ci sono state le politiche criminali del governo Berlusconi.

Nel 2010 è stato decretato il blocco del turn over e della contrattazione del personale sanitario. Ciò ha determinato una situazione di rischio in moltissime aziende sanitarie, comprese quelle della nostra città che non hanno più gli organici sufficienti per far fronte non solo alle emergenze, ma anche alla routine quotidiana del lavoro negli ospedali e negli ambulatori.

Nel 2009 solo 8 Regioni su 20 hanno garantito i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e si tratta solo di Regioni del Centro Nord.

Tra il 2007 e il 2012 i Fondi dedicati alla spesa sociale sono stati tagliati di oltre il 90%, un dato impressionante se si pensa che in Italia queste erogazioni sostengono una quantità enorme di prestazioni, tra cui oltre un milione di persone in carico ai servizi sociali, quasi 500.000 anziani seguiti a domicilio e in struttura, 90.000 disabili assistiti a domicilio, nella formazione professionale e con interventi educativi scolastici.



Gli stanziamenti complessivi dei Fondi Sociali, 2006-2013, in milioni di euro:




2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Fondo nazionale
politiche sociali
825
1000
712
578
435
218
70
45
Fondo infanzia e adolescenza
44
44
44
44
40
39
40
40
Fondo non autosufficienza
0
100
300
400
400
0
0
0
Fondo inclusione sociale immigrati
0
50
0
0
0
0
0
0
Fondo politiche giovanili
3
130
130
130
81
13
13
11
Fondo politiche della famiglia
3
220
330
239
174
51
53
31
Fondo pari opportunità
3
50
44
30
3
17
17
17

878
1594
1559
1420
1134
339
193
144

Fonte: “Sbilanciamoci”



La riduzione dei trasferimenti dallo Stato ai Comuni (vedi legge 78/2010) ha avuto un impatto devastante sui servizi erogati a livello locale: basti pensare che solo per il 2011 le minori risorse hanno sottratto oltre 12 miliardi di euro alle casse delle amministrazioni che si interfacciano direttamente con i cittadini.

Nella nostra città e nella nostra provincia questi tagli si sono innestati in una situazione particolare. D’accordo,  il welfare è sempre stato il “fiore all’occhiello” delle nostre amministrazioni: per anni si sono a buona ragione potute vantare di un livello di copertura, qualità, universalità, inarrivabile nel resto del paese. Ma negli ultimi anni? Negli ultimi anni questo livello qualitativo di prestazioni è stato garantito soprattutto dallo schiacciamento verso il basso della qualità e delle garanzie del lavoro e con la speculare diminuzione dei servizi e delle reti di protezione in favore dei settori della popolazione meno forniti di strumenti di difesa sociale politica.

Pensiamo al Drop In, un importante servizio per tossicodipendenti chiuso “in via provvisoria” nel 2010 e mai più riaperto, ad altri servizi a bassa soglia la cui sopravvivenza viene garantita con la dequalificazione del personale e in cui il ruolo del volontariato, soprattutto di matrice religiosa, ha giocoforza un peso sempre più significativo.

Diversi interventi nel corso del dibattito hanno approfondito questi temi. In questa sede ci basta ribadire che  l’impalcatura del welfare universalistico a Bologna e provincia non regge più.





Posti nei Nidi bolognesi



Nidi d'infanzia
Tradizionali
Part-time
In concessione
Posti nido privati autorizzati in concessione
anno




2007
2.259
341
217
289
2008
2.270
323
317
313
2009
2.279
305
348
313

0,88%
-10,50%
60,36%
8,30%

Fonte: Press tour Nidi- Legacoop Bologna



Come si evince da questi dati, negli ultimi anni è cambiato considerevolmente anche il quadro del sistema-nidi cittadino.

Il pubblico sta gradualmente abdicando al suo ruolo di protagonista principale del servizio, a fronte di un aumento esponenziale dell'offerta da parte del privato sociale attraverso il sistema del project- financing che attribuisce uno spazio da assoluto protagonista al Consorzio Karabak, con 6 nidi in concessione nel solo Comune di Bologna.

Sull'intero territorio provinciale la statistica è ancora più impressionante: Società Dolce gestisce 52 strutture per un totale di oltre 1400 posti/bambino, segue CADIAI con rispettivamente 14 nidi e 780 posti.

Esaminiamo questi dati così come sono. Emerge sostanzialmente la fotografia di una istituzione pubblica che per ragioni di bilancio abdica sempre di più al suo ruolo di erogatore diretto di servizi.

Dando per scontata la volontà di mantenere inalterata l’offerta, si decide di perseguire questo obiettivo ragionando su un meccanismo di massimo risparmio, non solo con il project- financing ma anche comprimendo i diritti delle operatrici del Comune (come spiega bene Anna Meoni nel suo intervento).

Attacco ai diritti vuol dire anche negare quelli delle donne. A fronte di una tariffa del nido inaffrontabile diventa più “logico” ridursi l’orario di lavoro, tenere i figli a casa, ricollocarsi all’interno di un ruolo di cura tutto al femminile che si sperava di limitare al minimo servendosi proprio di leggi come la 1044/71.



Ma se per quel che riguarda i nidi, l’offerta al pubblico (non i diritti e le retribuzioni) sembra ancora inalterata, lo stesso non si può dire per altri servizi.

Non è così nell’assistenza domiciliare, dove la carenza delle risorse messe a disposizione da parte degli enti locali ha portato a una riduzione generalizzata dei tempi previsti nell'esecuzione degli interventi sull’utenza e a un blocco quasi totale delle  nuove prese in carico di anziani del territorio, mentre circa il 25% degli operatori di questi servizi sul Comune di Bologna sono in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria.

Nei Comuni più piccoli e periferici della provincia i servizi rischiano di essere quasi completamente azzerati, concausa la morsa soffocante dei patti di stabilità.



Società civile, cooperazione e sussidiarietà a Bologna



Stiamo parlando di una città in cui il ruolo della cooperazione sociale ha assunto storicamente dimensioni rilevanti.

Pensiamo sia però necessario distinguere fra l’impegno della società civile genericamente intesa, da un sistema di impresa sociale che negli ultimi anni si è sviluppato fino a creare “colossi del sociale” con centinaia, migliaia di soci e dipendenti in grado di realizzare quelle economie di scala che ormai sono entrate a pieno titolo nella richiesta degli enti committenti.

Cooperative sociali che applicano oltre dieci tipi di contratto differente e che hanno fatto proprie le peggiori dinamiche di mercato, spesso traviando lo scopo e la funzione originarie, giocando un ruolo significativo nel quadro politico cittadino all’interno del Partito Democratico e contribuendo a esercitare una azione di pressione nella determinazione delle politiche del welfare.

Sono poche le realtà cooperative che cercano ancora di sviluppare un minimo di elaborazione pedagogica e sociale in grado di creare elementi di provocazione all’interno del sistema e di offrire progettualità di alto livello. Ovviamente queste realtà noi le sentiamo al nostro fianco.

Purtroppo, il più delle volte essere operatore di cooperativa non significa più essere portatore di competenza e di impegno, ma di sfruttamento e di rischio indigenza.

Vent’anni fa un educatore o un OSS poteva ancora sperare in una futura parificazione economica con il contratto dell’ente pubblico, ora ci potremmo accontentare di continuare a essere considerati lavoratori.

A fronte di una mancanza di risposta istituzionale alla crisi, il ruolo dell’educatore corre infatti il rischio di essere sempre più assimilato, anche economicamente, a quello del volontario.



Dove prendere i soldi?



Abbiamo bisogno di welfare.

Inclusivo, gratuito, garantito, universale, di qualità, non subordinato a fittizie gerarchie di miseria, a criterie clientelari o peggio, declassato a elemosina una tantum.

Non vogliamo scivolare verso un sistema di servizi di stile anglo-sassone, dove a fronte di 25.000 professionisti del settore educativo troviamo un numero dieci volte superiore di volontari, e in cui la charity, la beneficenza largamente intesa, ha una funzione preponderante.



Una delle più grandi mistificazioni a cui siamo sottoposti è la discussione sulla mancanza di risorse.

Saranno diminuite ma ci sono ancora, peccato che vengano distribuite secondo criteri che non privilegiano i servizi alla persona.

Pensiamo al People Mover, un’opera inutile che muove milioni di euro (105 per l'esattezza, inclusi i mutui bancari) che potrebbero essere utilizzati altrimenti.

Se trasferiamo il discorso a livello nazionale, pensiamo alla gigantesca spesa per il mantenimento del contingente militare italiano in Afghanistan.

Si tratta di oltre 600 milioni di euro, una cifra capace di riattivare in un colpo solo il Fondo per la Non Autosufficienza (400 milioni nel 2010).

Il governo italiano ha anche programmato l'acquisto di 131 cacciabombardieri entro il 2027, per un costo complessivo di 14 miliardi di euro.

L'importo previsto per il 2012 è di circa 580 milioni di euro, una cifra superiore allo stanziamento complessivo di tutti i fondi sociali nazionali per il 2011 e il 2012.

Infine, cosa non meno importante, se ci fosse la volontà politica dell’equità, si dovrebbe introdurre una tassazione fortemente progressiva che finalmente faccia pagare la crisi a chi fino ad ora ne ha tratto solo dei profitti.

Per inciso, notiamo che questi provvedimenti che non erano nell’agenda di Berlusconi, non sono neppure entrati in quella di Monti.



Ad ogni modo noi ci saremo, non ci faremo certo convincere dagli inviti alla pazienza e al sacrificio che ci arrivano dalle stanze del potere. Neanche fossimo dei bambini in attesa del proprio turno per un bastoncino di zucchero filato.

Nella strada che richiede una modifica radicale delle logiche che oggi governano l’organizzazione socio-economica dei nostri territori, siamo certi che incontreremo ancora molte altre persone come noi convinte che cambiare si può, pronte ad adoperarsi per farlo. Abbiamo capito da tempo che questo non è il tempo della delega, solo noi possiamo rappresentare le nostre istanze. E perché no? I nostri sogni.

Eduardo Galeano diceva che l’utopia è come un punto dell’orizzonte, cammini cammini e non arrivi mai. Man mano che ti avvicini si sposta… E a chi gli chiedeva “e allora a cosa serve?” Lui rispondeva  “Serve esattamente a questo: a continuare a camminare”.



Bologna senza Welfare