Come Sportello Migranti e Scuola di italiano per migranti attivi dal 2006 al TPO vorremmo contribuire alla discussione offrendo il terreno dell' Immigrazione come chiave di lettura per osservare l'evoluzione o meglio l'involuzione delle politiche di welfare in tempi di crisi.
I migranti, anche quando regolarmente soggiornanti hanno sempre avuto accesso ad un welfare di serie B: alcune previdenze quali l'indennità di invalidità, assegno di maternità, o forme di sostegno come gli alloggi ERP sono erogati solo a coloro che hanno status giuridici particolari, come ad esempio la carta di soggiorno (oggi denominato permesso CE soggiornanti di lungo periodo).
Per questi motivi da tempo denunciamo che è in corso un processo di stratificazione della cittadinanza, dove servizi e diritti seguono una mappa a geometria variabile che punta a creare confini, differenziazioni, gerarchie.
E' però vero che nella crisi le frammentazioni aumentano, a questo mirano le misure anti-crisi, tra le quali è possibile ascrivere anche l'introduzione del reato di clandestinità, con l'obiettivo di escludere sempre più soggetti dai servizi, limitandone i diritti, perimetrandone le possibilità di accesso al welfare.
Quello che accade per tutti è un vero paradosso: il welfare al tempo della crisi si comprime anziché estendersi come forma di paracadute per chi è più esposto alla crisi, e così attraverso le storie dei migranti e delle migranti vediamo cosa accade a chi resta senza lavoro, vediamo la difficoltà e poi l'impossibilità di pagare l'affitto, di mantenere un alloggio, vediamo le persone scivolare velocemente nella condizione di senza fissa dimora.
Per questo occorre sempre pensare al Sociale come qualcosa che riguarda direttamente il Lavoro, le Politiche abitative, l'Istruzione e la Formazione , altrimenti lo si limita ad un appoggio, ad una forma di assistenza insufficiente, e in tempi attuali quasi una forma di elemosina, che fallisce l'obiettivo di inserire la persona in un tessuto sociale e produttivo con un progetto a lungo termine.
La richiesta di un reddito di cittadinanza scollegato dalla prestazione lavorativa, da estendere a nativi e migranti risponde al bisogno di pensare il welfare come direttamente legato alle politiche del lavoro e alle loro conseguenze, laddove la precarizzazione e la flessibilizzazione forzata voluta dalle imprese e legittimata dai sindacati sta portando intere generazioni all'intermittenza lavorativa e all'inoccupazione.
Detto questo, in questo scenario, un paio di temi ci stanno particolarmente a cuore.
1) La logica dell'emergenza
Facciamo un appello ad amministratori ed operatori a sottrarsi alla logica dell'emergenza ed alle sue politiche poiché essa solleva immediatamente un problema di democrazia:
Lo stato di emergenza con la delega alla Protezione Civile serve a de-politicizzare gli interventi, a de-responsabilizzare le autorità politiche, a impedire una vera concertazione con gli enti locali, ridotti a esecutori. Dove vengono prese le decisioni? Come vengono coinvolti gli enti locali? Con la cosiddetta Emergenza profughi lo stesso Comune di Bologna si è reso conto di quanto fosse ridotto il proprio margine di intervento
Lo stato di emergenza produce anche una deroga alle norme in vigore, che seppur carenti prevedono chiaramente i doveri dello stato. Sempre assumendo come esempio l'emergenza profughi, abbiamo visto come lo Stato sia riuscito a derogare al dovere di accoglienza e di protezione, i “profughi” sono stati trattati come catastrofe, calamità naturale: dalla detenzione nei CIE, alle tendopoli, nei capannoni, negli ex magazzini, nelle zone militari affidate alla CRI come Prati Caprara, dove nel migliore dei casi, come potrebbero essere quelli della nostra regione, viene fornita un'assistenza minima senza nessun progetto di inclusione a lungo termine.
Se l'immigrazione non è una catastrofe ma una fenomeno strutturale di un pianeta attraversato da una enorme crisi di sistema, nemmeno il freddo deve essere considerato un'emergenza, ma l'occasione per mettere in piedi interventi per i senza fissa dimora a lungo termine.
2) L'accessorietà del diritto
Questo aspetto riguarda la nostra realtà composta da attivisti e militanti impegnati in un intervento sull'immigrazione animato dal desiderio di produrre cambiamenti e sollevare contraddizioni e per fare questo abbiamo trovato utile darci la forma giuridica di associazione onlus.
Sempre più frequentemente il volontariato è sollecitato ad intervenire laddove le Istituzioni non garantiscono più, questo per noi rappresenta un insidia a cui prestare molta attenzione poiché così facendo viene messo in discussione il concetto di diritto. Vigilare sui diritti e sul rispetto dei diritti non significa essere ideologici (come molte volte siamo stati accusati a Tavoli inter-istituzionali dove il volontariato) ma significa non arrendersi alla logica di una gestione della crisi che travolge i diritti rendendoli accessori facoltativi.
Partendo dai progetti per l'inclusione, per l'accoglienza degna, per l'insegnamento dell'Italiano agli stranieri crediamo che l'associazionismo - che tanto si sviluppa nei centri sociali, dove vive ad esempio la nostra realtà – sia fondamentale per costruire una idea di città e di diritto alla città ed ai suoi beni in cui tutti hanno un ruolo, non per tappare i buchi dell'Amministrazione e del Pubblico ma per stimolare l'amministrazione ad essere sempre all'altezza di una realtà in rapida evoluzione, che proprio le realtà informali come collettivi, draghi, centri sociali o altro alle volte intercettano per primi. Noi intendiamo il volontariato – ma questa parola non calza con la nostra esperienza, preferisco parlare di partecipazione e di impegno autorganizzato – come ricchezza utile non per garantire i diritti, ma al contrario per indicare la necessità di istituire nuovi diritti.
Nessun commento:
Posta un commento