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sabato 11 maggio 2013

La nuova precarietà a tempo indeterminato: cosa faremo?


Mercoledi scorso, 8 maggio si è svolto presso il "Blogos" di Casalecchio di Reno l'incontro pubblico da noi promosso avente per tema "la nuova precarietà a tempo indeterminato". Fra gli interventi quello di Roberto Sconciaforni, Consigliere Regionale di Rifondazione Comunista, di delegati sindacali di CGIL e USB, di Marialba Corona mamma di un bambino autistico di Casalecchio di Reno, di educatori come Enzo del Comune di Bologna, Cristiano educatore di cooperativa che lavora nell'ambito della neuropsichiatria infantile, Marco anche lui dipendente di cooperativa che lavora nella scuola. Si è cercato di mettere in risalto il problema del lavoro estivo, della condizione dell'educatore senza titolo e con, che lavora nel privato sociale, si è messo in risalto che anche gli educatori dipendenti comunali sono vittime dei tagli e delle riorganizzazione come quella che sta per avvenire con la creazione dell'ASP Unica a Bologna, a discapito di posti di lavoro e della qualità dei servizi sempre più scadenti. Dopo i vari interventi si è concluso con la proposta di un documento da presentare alle amministrazioni comunali ed alla Regione che proponga  l'adozione di un  appalto unico secondo il modello già in vigore a Casalecchio di Reno, per i Servizi educativi nel loro complesso e dunque anche per i centri estivi ed i servizi scolastici, che garantisca la continuità lavorativa nei dodici mesi e la tutela dei diritti dei lavoratori.  Chiediamo anche una  partecipazione attiva  degli educatori  insieme agli utenti nei vari tavoli regionali, comunali, insomma vogliamo esserci anche noi  laddove dove si parla del nostro lavoro e delle problematiche annesse. Prossimamente daremo ulteriori dettagli.






Educatori uniti contro i tagli

martedì 7 maggio 2013

LAVORO ESTIVO: PRECARIETA' E ASSENZA DI DIRITTI.


Lavoro estivo: precarietà e assenza di diritti

 

 

1) Perché una campagna?

Prescindendo per un attimo dal contesto di precarietà che contraddistingue da sempre i lavoratori del privato sociale, quello dell'estate è probabilmente il periodo più critico.

Nell'attuale congiuntura economica, contraddistinta da tagli importanti alle risorse dedicate ai servizi e da un attacco continuo ai diritti contrattuali da parte delle cooperative, questo problema assume un carattere di gravità sempre maggiore.

 

 

2) Lavoro estivo: gli educatori dei Servizi scolastici e quelli dei Servizi all'infanzia.

Una percentuale sempre maggiore di servizi educativi è gestita dal Terzo settore attraverso appalti, contratti di servizio e accreditamenti.

Sugli operatori si riversano le conseguenze delle trattative al massimo ribasso fra Amministrazioni e Cooperative.

Se durante l'anno scolastico molti operatori vedono il loro monte ore (quasi) garantito, d'estate sono aggrappati all'eventuale iscrizione del proprio utente al centro estivo o alla disponibilità di altri servizi in cui essere ricollocati.

Se questa disponibilità non esiste, i lavoratori sono condannati all'inferno dell'assenza di retribuzione (come gli operatori della Quadrifoglio lo scorso anno) o al “meno peggio” della Cassa Integrazione, come accaduto agli educatori Cadiai di Casalecchio lo scorso anno.

 

 

3) A fronte di questa situazione, le imprese “sociali” e la Pubblica Amministrazione si sono organizzate nella maniera più conveniente possibile: far pagare il costo della crisi ai lavoratori.

Alcune cooperative sociali si sono organizzate per far sottoscrivere alle lavoratrici i cosiddetti “contratti part-time misti”: in buona sostanza un contratto verticale su 10 o 11 mesi, in cui la cooperativa non è tenuta a fornire il lavoro ad agosto o magari anche a luglio, mesi durante i quali il lavoratore è di fatto sospeso e non può godere della disoccupazione, perché resta pur sempre un dipendente.

Altre preferiscono “suggerire” di ricorrere alla vecchia e buona aspettativa non retribuita.

Un modo per non pesare sull'amministrazione aziendale e soprattutto per non costringere la cooperativa a farsi carico di una delle sue precise responsabilità, ossia fornire lavoro ai propri dipendenti.

A fronte di tutto ciò, la Pubblica Amministrazione fa orecchie da mercante, non interessandosi minimamente alle sorti di lavoratori che durante i mesi scolastici rappresentano una fondamentale risorsa per scuole ed utenti; fondamentale risorsa soprattutto in quei momenti in cui si tratta di mettere “in vetrina” i molteplici servizi offerti da una amministrazione che ama spacciarsi come molto attenta al sociale.

 

 

4) Le politiche delle Cooperative e degli Enti locali: la non sicurezza del lavoro provoca l'esodo verso le polisportive.

Un numero sempre più consistente di appalti permette l'ingresso delle associazioni e delle polisportive su servizi di pre e post scuola e sui centri estivi.

Si tratta di servizi che nella maggior parte dei casi presuppongono l'utilizzo di manodopera organizzata su turni, con responsabilità e organizzazione specifiche.

Se all'inizio si trattava nella stragrande maggioranza di studenti, ora un grande numero di educatrici ed educatori ripiegano su questi lavori per far quadrare le proprie spese, soprattutto nel caso in cui il loro datore di lavoro non abbia offerto loro un numero di interventi educativi sufficienti a coprire l'orario dei mesi estivi.

Ad oggi non esistono, almeno nella nostra provincia, contratti d'appalto che obblighino le realtà associative e sportive ad applicare un contratto nazionale di riferimento ai lavoratori “stagionali” utilizzati sui centri estivi, che vengono collocati su questi servizi con “prestazioni sportive”, ossia un contratto che li contraddistingue come “istruttori sportivi”.

In altre situazioni gli operatori compaiono come volontari, aventi diritto a “rimborsi spese”.

In ogni caso, nessun riconoscimento a nessun titolo per malattie, infortuni, contributi o Tfr.

Tutto ciò nel disinteresse più completo della pubblica amministrazione che non sembra preoccuparsi molto né della continua precarizzazione dei lavoratori del sociale, né del calo di professionalità offerta da operatori spesso improvvisati.

 

 

5) Cooperative e Polisportive sono funzionali ad una politica che porta alla riduzione dei costi del servizio e precarizza in maniera strutturale il personale educativo.

Stiamo assistendo a una continua rincorsa al calo strutturale delle retribuzioni nel mondo cooperativo.

Ultima in ordine di tempo, la richiesta della cooperative sociali della provincia di Bologna di arrivare a un accordo che permetta di posticipare il pagamento dell'ultima tranche (20 euro) di aumento contrattuale.

Una richiesta che molto probabilmente i sindacati rimanderanno al mittente, ma che evidenzia il carattere delle politiche praticate dal Terzo settore: far ricadere sui lavoratori tutti i costi dei tagli ai servizi, subalternità completa alle esigenze di risparmio degli Enti committenti, in un circolo vizioso in cui gli unici a rimetterci sono i soliti noti.

Le Polisportive si spingono addirittura oltre: forniscono un servizio che può arrivare a offrire competenze simili (laddove gli operatori siano gli stessi...), ad un costo enormemente inferiore.

 

 

7) In questo quadro, la nostra analisi ha individuato una serie di rivendicazioni da portare avanti, congiuntamente alle richieste dei sindacati, che probabilmente non esauriscono l'argomento ma sicuramente ne riassumono i punti principali:

 

- contratti di lavoro su 12 mesi: non ci stiamo a pagare nello scaricabarile tra cooperative e amministrazioni. Le cooperative sono il nostro datore di lavoro, debbono prendersi la responsabilità di dare lavoro per 12 mesi ai propri dipendenti.

-  rispetto pieno degli accordi provinciali di programma: gli utenti hanno diritto ad avere la propria figura educativa in continuità anche sui mesi estivi.

 

- chiediamo che in tutti i contratti d'appalto siano recepite clausole che obblighino le cooperative al pieno rispetto del Contratto Nazionale e degli accordi integrativi.

 

- chiediamo a tutti gli operatori di far verificare i loro rapporti di lavoro con le Associazioni all'Ispettorato del Lavoro: non è possibile figurare come istruttori sportivi o volontari con rimborso spese quando si è organizzati su turni come qualunque altro lavoratore dipendente.

 

- chiediamo una presa di posizione e di responsabilità alla Amministrazione Pubblica di fronte a queste situazioni vergognose spesso avallate.

Non è più accettabile continuare a nascondersi dietro al periodo di commissariamento comunale.

 

La realtà è che facciamo comodo così, perché in questo modo abbiamo ancora meno diritti che in una Cooperativa: non c'è malattia, non c'è infortunio, non ci sono contributi previdenziali.

Sotto i 7.500 euro l'anno la nostra professione in “prestazione sportiva” è invisibile al fisco, come del resto spiega molto bene il famigerato art.37 della legge 342 del 2000.

 

Educatori contro i tagli

18 MAGGIO, APERITIVO-PARTY PER FESTEGGIARE 2 ANNI DI LIBERA INFORMAZIONE SUL MONDO DEL SOCIALE.


giovedì 25 aprile 2013

"LA NUOVA PRECARIETA' A TEMPO INDETERMINATO". INCONTRO PUBBLICO MERCOLEDI' 8 MAGGIO ORE 20 AL BLOGOS-CASALECCHIO DI RENO:



MERCOLEDI 8 MAGGIO

ORE 20.00

Presso il BLOGOS

(via dei Mille, 26 - Casalecchio di Reno)

INCONTRO PUBBLICO ORGANIZZATO DA

EDUCATORI UNITI CONTRO I TAGLI

 

La Nuova Precarietà a tempo INDETERMINATO”

 

Il coordinamento degli “Educatori Uniti Contro i Tagli” organizza un incontro pubblico per affrontare il tema della precarietà del lavoro socio-educativo durante i mesi estivi. Contratti a tempo indeterminato che prevedono tre mesi di disoccupazione “strutturale”.

·       Figure professionali che spesso rappresentano il fiore all’occhiello delle pubbliche amministrazioni quando si tratta di vantarsi per i molteplici servizi offerti, finiscono nel dimenticatoio con l’aumento della temperatura, messi da parte e non pagati

·       Precarietà che non può far altro che abbassare e svilire la professionalità di operatori ed educatori

·       Appalti comunali che non prevedono nessuna forma di rispetto e tutela per lavoratori che operano a vantaggio delle figure più deboli

·       Cooperative Sociali che ritengono “cooperazione sociale” assumere “a gettone” per nove mesi all’anno (a tempo INDETERMINATO)

·       Nessuna forma di riguardo reale per disabili ed utenti, costretti a subire scelte politiche ed economiche che pagano sulla loro pelle.

 

Si invita alla partecipazione la cittadinanza, gli operatori del sociale, i rappresentanti politici e sindacali, le associazioni di genitori e chiunque abbia a cuore la situazione del WELFARE cittadino che appare sempre più moribonda!


domenica 7 aprile 2013

POSTIAMO ARTICOLO "ANNAMARIA, ROMEO E GIUSEPPE. LA NOSTRA VERGOGNA":


ANNAMARIA, ROMEO E GIUSEPPE. LA NOSTRA VERGOGNA.

di Paolo Coceancig*


Si sono vergognati. Strangolati da una politica economica che di loro non sapeva che farsene, se non sangue da tributare all’unica divinità incontestabile di questo inizio millennio, la parità di bilancio. Si sono vergognati. Accerchiati dall’indifferenza immorale del potere, troppo impegnato a propagandare il vaniloquio autoreferenziale dei suoi associati gaudenti. E si sono vergognati di noi. Noi che siamo servizio sociale. Noi che siamo deputati all’accoglienza. Annamaria e Romeo hanno preferito andarsene in silenzio in una disgraziata giornata marchigiana piuttosto che venire da noi, come li aveva esortati a fare il sindaco della loro città. Chiedere aiuto è cosa che stona con l’apoteosi del “fai da te” e della ricchezza ostentata di questi nostri schifosi anni.  “L’orgoglio e la dignità di una vita intera hanno impedito a quella coppia in disgrazia di rendere pubblico il proprio disagio” scrive Massimo Gramellini su “La Stampa”. E allora, di fronte ad una tragedia come questa, noi lavoratori del sociale non possiamo rimanere in silenzio, siamo troppo coinvolti, ci siamo troppo dentro: la storia di Annamaria, Romeo e Giuseppe è una nostra storia. Dal suo profilo su face book  Ida Dominijanni ci ammonisce, di fronte a tragedie come queste, a rifiutare la logica del silenzio riflessivo, a trasformare il giusto cordoglio in partecipazione attiva, “raccontando la disperazione di vite come queste per offrire a Romeo, Annamaria, Giuseppe e ai tanti, troppi come loro, l’unico gesto di solidarietà estrema, seppur fuori tempo massimo”.

Cos’è successo in questi ultimi trent’anni, cosa ci è successo? Com’è potuto accadere questo imbarbarimento che pare senza ritorno e che porta le persone ad anteporre la morte come scelta alla sacrosanta rivendicazione di un diritto che un tempo si sarebbe detto inviolabile?

Certo, non si parte favoriti in un conflitto portando sulle spalle la zavorra nostalgica del “c’era una volta” e gli anni settanta sono stati anche anni duri, bui, di sconfitte, sangue, tanta eroina e contrapposizioni spesso inutili. Ma anche delle ultime grandi conquiste sociali di questo paese, inutile metterle qui tutte in fila. Sono stati gli anni in cui, beata ingenuità, si pensava che il consolidamento dello stato sociale fosse definito una volta per tutte e che nessuno, mai più nessuno da destra o da sinistra, avrebbe messo in discussione l’idea che uno stato per dirsi veramente e concretamente civile dovesse avere tra le sue priorità quella di ridurre le disuguaglianze sociali. La grossolana prosperità degli anni ottanta ci aveva poi illuso di vivere in un paese che potesse far fronte senza troppa fatica ai bisogni del cittadino licenziato, socialmente ai margini, con la convinzione che l’assistenzialismo fosse parte integrante del modello economico imperante, accettando di conseguenza la fine dell’ideale alto, propugnato dai grandi pensieri del novecento europeo, dell’inclusione sociale di tutti, ma proprio tutti, gli individui.  Ecco dove ci ha portato quel lontano, primo cedimento: a Civitanova Marche, Aprile 2013. Perché le responsabilità della sinistra sono enormi: annacquandosi nel corteggiamento al moderatismo delle alleanze strategiche con banchieri e affaristi vari con l’obiettivo, peraltro mai centrato appieno, di governare comunque, ha smesso da tempo di parlare alla sofferenza della gente, ha lasciato che masse di disperati si buttassero nelle mani dei patetici vichinghi di Pontida o peggio, appesi ai sorrisi trentaduedenti del donatore di sogni brianzolo. A pensarci ora, che pensiero debole la paura della radicalità. Perfino quelli che fino a ieri avevano propugnato il liberismo temperato (?) come verità assoluta, oggi rimproverano al PD una scarsa incisività e una eccessiva sudditanza ai doveri di alleanza verso il governo Monti. Quanta ipocrisia nei commentatori di casa nostra, ancora una volta tutti pronti a saltare sul carro del vincitore del momento, fosse anche solo un comico esaltato da un improvviso picco di notorietà.

E la solidarietà, che brutta bestemmia. Un tempo sinonimo di diritto e oggi, ormai del tutto avvelenata dall’esuberanza penosa del miserabile mitomane di Arcore e della sua claque patetica e arrogante, percepita come elemosina ai pezzenti, beneficienza da questua domenicale.  Non abbiamo certo dimenticato gli ignobili siparietti di Berlusconi che tronfio esibisce in televisione la sua bontà imbevuta di assegni a nove zeri in favore del Don Gelmini di turno o che urla ai quattro venti la penosa (oltre che mai avvenuta) adozione della famiglia di disperati albanesi appena scesi da un gommone a Bari. Ridevamo delle boutades di quel cialtrone, e invece in quei passaggi televisivi si celebrava la fine del welfare state di casa nostra, la fine di conquiste sociali pagate con il prezzo di migliaia e migliaia di morti. Aprile 2013, Civitanova Marche, altri morti.

La nostra speranza appesa ormai solamente all’unico gesto d’amore autentico in questa brutta storia, Giuseppe che si butta nel mare per troppo dolore. Per un istante, il riscatto dell’uomo su così tanta disumanità. Dobbiamo molto a Giuseppe, tutti quanti.

Tagli dappertutto. Tagli da tutte le parti. Risanamento, aziendalizzazione, riformulazione, rimodulazione: una ridda di vocaboli in maschera per occultare l’unico dato reale: che il nostro welfare sta andando a puttane.  E se non bastasse, ancora tutti costretti a sorbirci la filastrocca ormai insopportabile che i fondi per il riequilibrio del sistema socio-sanitario vanno cercati al suo interno (che ne so: meno ospedali e più servizi ai minori oppure meno ambulatori e più “una tantum” agli anziani, la solita guerra tra sfighe e sfigati) e non negli sprechi abominevoli all’esterno (opere faraoniche senza senso, corse agli armamenti che non meriterebbero neppure una striscia di Sturmtruppen).

Basta. Basta. Basta.

E diciamocelo infine cosa avrebbero trovato Annamaria e Romeo se si fossero rivolti ai Servizi Sociali. Quasi sicuramente una spaventata Assistente Sociale fuori sede, contratto trimestrale, chiusa nel suo piccolo ufficio il più delle volte nello scantinato del palazzo comunale, e una sfilza di “Non ci sono più soldi, provate a chiedere alla Caritas. Ci potrebbe essere l’opportunità di una Borsa Lavoro, 2,70 euro all’ora, ma mi sa che siete un po’ in là con gli anni” o in alternativa “ma non avete qualcuno in famiglia che vi possa aiutare?”

Rivolgersi ai Servizi Sociali era la loro vergogna, la nostra, se l’avessero fatto, sarebbe stata quella di non avere più nulla o quasi, da offrire loro.

 

*degli “Educatori contro i tagli”

 

domenica 31 marzo 2013

RIPRENDIAMO ARTICOLO DA REDATTORESOCIALE SULLA NOSTRA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE:


Educatori contro i tagli, in 200 senza stipendio da giugno a settembre


A Bologna parte la campagna degli operatori sociali che lavorano nella scuola: ''Abbiamo contratti da 12 mesi ma da giugno a settembre, con la chiusura delle aule, non siamo pagati e non abbiamo diritto alla disoccupazione"

BOLOGNA - Gli “educatori contro i tagli” di Bologna e provincia lanciano una mobilitazione per denunciare il non pagamento di molti operatori sociali durante l'estate. Colpa dei contratti che durano sì un anno intero, ma che non prevedono il pagamento delle ferie. A Bologna è successo la scorsa estate ai lavoratori che garantivano il sostegno scolastico agli alunni certificati. Trecento persone sono rimaste senza stipendio dall'inizio di giugno a metà settembre e non hanno potuto nemmeno ottenere l'indennità di disoccupazione. Ora la situazione potrebbe ripetersi, e un gruppo di educatori ha lanciato la campagna di mobilitazione "Quest'estate resteremo in mutande". Sotto lo slogan la foto di quattro uomini, in boxer e con le facce coperte dal simbolo di un panda arrabbiato. Un modo originale per lanciare una protesta. "I bisogni educativi e socio-sanitari si sciolgono con il caldo e l'educatore è di conseguenza inutile", si legge sul volantino di lancio dell'iniziativa. E ancora: "Contratti su 12 mesi ma lavoro su 9 mesi". Nelle prossime settimane il gruppo di educatori lancerà un incontro pubblico per informare la cittadinanza sul problema.

“Quest'anno le cose miglioreranno, ma non basta – spiega Fabio Perretta di Usb –. L'ultimo bando del Comune di Bologna ha assicurato continuità lavorativa anche in estate agli educatori già impiegati durante l'anno scolastico con i bambini con handicap. Ma si fa riferimento solo ai bambini da 6 agli 11 anni. Tra gli altri resteranno scoperti gli operatori che assicurano il pre e il post scuola”. Secondo la Fp-Cgil saranno complessivamente tra i 100 e i 200 i lavoratori che rimarranno senza stipendio tra giugno e settembre. “Tra questi - spiega Anna Maria Margutti della Fp-Cgil - ci sono anche persone che lavorano per delle polisportive vincitrici di appalti nel settore scolastico. Mesi fa abbiamo segnalato il problema all'Inps e attualmente sono in corso dei controlli”. La notizia è confermata da Usb e anche dal dirigente scolastico dell'istituto comprensivo 12 di Bologna. “Dal Comune tramite il quartiere ci è stato affidato un budget annuale di 37mila euro per i servizi di pre e post scuola, in tutto parliamo di sette lavoratori coinvolti – racconta Filomena Massaro - . Quando abbiamo messo a bando il servizio si è presentata solo la polisportiva Energym, adesso che ci sono i controlli la paura è che il prossimo bando andrà deserto, e i servizi di pre e post scuola non potranno più essere garantiti a nessuno”. Gli educatori che lavorano per Energym dichiarano di essere stati contrattualizzati come “educatori sportivi”, spiegano di non avere diritto alla retribuzione dei periodi di malattia e delle ferie, “ma ci chiedono comunque di consegnare i certificati di malattia se abbiamo problemi di salute”. Per il momento Energym rifiuta di rilasciare dichiarazioni in merito. “Che ci siano delle situazione irregolari o al limite dell'accettabile è sotto gli occhi di tutti, da tempo abbiamo una trattativa aperta col Comune di Bologna, chiediamo almeno il rispetto dei contratti nazionali, cosa che al momento non avviene – continua Margutti della Cgil –. Da parte nostra continueremo a denunciare situazione di irregolarità, come l'utilizzo di voucher o forme similari per pagare i lavoratori. Per quanto riguarda i servizi educativi a Casalecchio siamo riusciti a raggiungere un accordo complessivo, bisognerebbe riuscirci anche a Bologna, possibilmente entro il 2013. Si tratta solo di volontà politica”.

 

G. Stinco

 

 

giovedì 28 marzo 2013

POSTIAMO ARTICOLO, NOI E LUI (Beppe Grillo, che fare?):


NOI E LUI  (Beppe Grillo, che fare?) 

di Paolo Coceancig*

Dunque, Grillo e il grillismo. Bisognerà pur che ci si faccia i conti, tutti, anche noi lavoratori del sociale. Non c’è dubbio che antropologicamente il fenomeno sia in perfetta continuità con l’involuzione del sistema politico cui il berlusconismo (che nasce ben prima del Berlusconi governante) negli anni ottanta  diede un’accelerazione spaventosa. Da un punto di vista dell’organizzazione politico-istituzionale siamo ancora dalle parti dell’ultraevoluzionista Herbert Spencer: in sostanza un gruppo sopravvive solamente grazie all’idea della minaccia esterna costante (per Berlusconi i magistrati e i comunisti, per Grillo il resto del mondo). E’ questo l’assioma che spinge il M5S, a maggior ragione in quanto strutturato solamente nello spazio virtuale e parziale di un blog, a dotarsi di una guida autoritaria e decisamente centralizzata.  La conseguenza è il rifiuto a priori di ogni confronto, non solo con gli organismi politico-sociali tradizionali (partiti e sindacati), ma anche con qualsiasi altra realtà culturale e di lotta con cui, a partire dai contenuti, potrebbe trovare tranquillamente delle convergenze. Ma, tralasciando il fatto che contrapporre una società civile onesta pulita a una classe politica corrotta e priva di valori (che in realtà altro non è che la sua perfetta rappresentazione) prima ancora che superficiale, è semplicemente ridicolo, da dove arriva tutta questa idiosincrasia per tutto ciò che si muove (si muove) al di fuori del verbo grillino? Questa chiusura totale per ogni ipotesi di contaminazione, questa ininterrotta esibizione di manicheismo? Mi verrebbe da pensare, estremizzando la riflessione manifestata dai Wu Ming in alcune recenti e condivisibili incursioni sui media nazionali e internazionali, che il Grillo politico sia nato a Genova in quel maledetto Luglio del 2001, negli stessi giorni in cui moriva il Movimento dei movimenti. Attenzione, moriva lasciando in vita tutte, ma proprio tutte, le ragioni per cui era sbocciato. E Grillo, anticipando tutti i tentativi di riorganizzazione dall’interno di quelle esperienze, con abilità le ha fatte sue raccogliendole ad una ad una, attraversando con le sue urla e i suoi vaffa il primo decennio del nuovo millennio. I Wu Ming vanno oltre, sostenendo che il grillismo, dopo essere nato sulla scia della fine di quei movimenti, oggi ne sia esso stesso concausa per via della sistematica “cattura” delle istanze delle lotte territoriali, soprattutto di quelle più “fotogeniche”. Difficile non essere d’accordo. Soprattutto di fronte ad un movimento che alla prova del successo (lo sfondamento elettorale) e dunque del passaggio dalla protesta alla proposta, comincia a denunciare tutti i suoi limiti in termini di incisività sociale.  Anche a Parma pare che non se la passino benissimo. Ora, mettiamo pure da parte la biografia ultraliberista del santone Casaleggio, la provocazione qualunquista di chi è pronto ad accettare membri di Casa Pound all’interno del movimento, l’imbarazzante e soporifero dilettantismo dei due portavoce parlamentari e alcuni insulsi richiami sul web stile Aldo Forbice (quello che proponeva nel suo programma radio appelli del tipo “siete contro la violenza sui bambini?”, firmerebbero senza alcuna difficoltà  anche Storace e Jack lo squartatore), ma qui si avverte pochezza di idee o peggio, superficialità d’approccio. Tante invocazioni estemporanee e poca progettualità.

I contenuti però ci sarebbero, eccome. Con onestà intellettuale dobbiamo riconoscere che è stato il loro successo elettorale a riportare certi temi a noi così cari (fine delle grandi opere inutili, abbattimento delle spese militari, sussidio di disoccupazione, scuola e sanità pubbliche) al centro del dibattito politico. In un certo senso Grillo ce li ha scippati e noi, per rispondere alla solita, cara, antica domanda, che fare?, dobbiamo ora sudare le proverbiali sette camicie per riprenderceli, ma non abbiamo scelta: per evitare pericolose derive autoritarie del popolo dei mouse, dobbiamo farlo. Dobbiamo riportarli a casa quei contenuti, dentro i loro spazi naturali, che sono quelli della sinistra tout court, senza se e senza ma. Anche Nichi Vendola, che pure l’occasione di porsi alla guida di tutta l’opposizione sociale che è esplosa nel paese ai tempi dell’insediamento del governo Monti l’aveva avuta e la cosa avrebbe probabilmente arginato non di poco il dilagare del M5S, perso quel treno oggi si trova in una terra di mezzo nella quale gli riesce difficile un agire politico libero da condizionamenti istituzionali. Consola il fatto che non dovrebbe essere impossibile aprire delle crepe dentro l’apparente monolitismo del M5S quando si arriverà al dunque, alle decisioni da prendere, alle scelte irreversibili di campo.  Grillo sa bene  che affrontare alcuni temi sensibili per la base eterogenea del suo movimento (l’impressione è che in quel calderone ci sia un po’di tutto: dalla rustica e volgare grossolanità dei leghisti della prima ora a certo antagonismo movimentista dell’ultimo decennio)  potrebbe essere fatale. Non vorrei peccare in eccesso di ottimismo, ma ho la convinzione che alla fine i tanti amici e compagni che hanno scelto di militare nel M5S con l’intento nobile di “far saltare il vecchio sistema”, si stancheranno di accontentarsi della ripetuta messa in scena in diretta streaming della caricatura della democrazia diffusa, di rimanere ostaggi dell’assemblearismo persistente di facciata. Noi intanto dobbiamo rimanere dentro ogni spazio, e se ne stanno aprendo parecchi, di conflitto e di proposta agita sul territorio. E’ lì che troveremo i nostri nuovi compagni di strada, è lì che ritroveremo chi al momento ha scelto (legittimamente, s’intende) la scorciatoia della lagnanza scombinata del provetto guastatore da superblog.

E infine, veniamo a noi. Noi lavoratori del sociale intendo. Ho cercato di capire in tutti i modi quale fosse il progetto di welfare che il M5S ha in mente per il futuro del paese, ma non sono riuscito a trovare nulla che andasse un po’ più in là di alcune generiche e ovviamente condivisibili affermazioni di principio. Il collega padovano Giovanni Endrizzi, neosenatore (a proposito, salutiamo con favore un educatore professionale a Palazzo Madama), fa sapere che il programma per il welfare, come per tutto il resto, nascerà dal confronto con i cittadini tramite il web come fatto finora. Non mi basta, non ci basta. Sinceramente ci stanno un po’ annoiando le rivoluzioni fatte con il mouse.

 

*degli “Educatori contri i Tagli”.