IL NATALE AI TEMPI DELLA CRISI
di Paolo Coceancig*
Eccolo qua. Con i suoi fagotti colmi di pacchetti regalo, chilometri di carta velina e sorrisi di maniera in frivola perseveranza, strette di mano molli e sudaticce e la noia di decine e decine di “Buon Natale” borbottati tra una zuppa di pesce e una porzione di lenticchie. Eccola qua la festa del vecchietto con le renne: gli appelli alla spartizione delle poche tredicesime ancora a disposizione, un pugno di euro da convertire in economia al micro spaccio: benzodiazepine e hi-tech, smalti e felpe con cappuccio all’outlet fuori porta.
Jingle bells, jingle bells Jingle all the way, tutti insieme intorno a tavole imbandite di feticci identitari; silenzio, il presidente parla alla nazione: che il paese non si divida tra pandoro e panettone.
La bottiglia di moscato sottocosto omaggio dell’azienda è il premio produzione da barattare con i fuochi d’artificio in pre-svendita alla Coop.
A Natale, tutti gli studi sulla materia lo confermano, aumentano i suicidi perché il dolore dell’esclusione diventa insostenibile e gli ultimi si disperano come bambini ai piedi di una giostra su cui non potranno mai montare. L’emarginazione porta sempre con sé un carico di vergogna insopportabile.
E allora eccolo qua il Natale ai tempi della crisi, con le miserie dei non ammessi che vagano con gli occhi umidi sotto i neon delle luminarie sulle strade dello shopping.
Verrebbe quasi voglia di essere noi a richiamare a tutti il senso più profondo del Natale, quel messaggio di amore universale che l’anniversario della nascita del bambinello di Betlemme dovrebbe evocare e che quotidianamente, nella sua storia millenaria, il popolo degli uomini ha sempre solo finto di ascoltare. Verrebbe proprio voglia di farlo noi questo richiamo, noi che di certo non ostentiamo biografie da devoti sostenitori di Sacra romana chiesa.
D’altra parte molti dei tormenti che stanno opprimendo il mondo occidentale sono cominciati quando nell’immaginario collettivo più recente San Nicola, protettore dei bambini e dei perdenti, è stato rimpiazzato dal portabandiera della Coca-Cola. E non crediamo sia stata solo una coincidenza.
Dopo il Natale, l’anno Nuovo, il 2012: l’anno della fine del mondo nelle profezie dei Maya, delle lacrime e del sangue in quelle degli economisti di tutto il mondo.
Sarà meglio prepararsi. E affidarsi soprattutto a noi stessi.
Non ci lasciamo certo intenerire dalle lacrime della ministra Fornero mentre annuncia ai più fortunati tra di noi (quelli cioè che hanno ancora uno straccio di lavoro) che andranno in pensione intorno ai settant’anni e, semmai avanzeranno, con in tasca un pugno di spiccioli che non basteranno neppure per pagarsi un mazzo di crisantemi. Né ci convince la chiamata alla comprensione della “sofferenza dei dirigenti” che ha fatto l’Assessora Frascaroli durante la recente Assemblea cittadina organizzata da “Bologna senza Welfare”.
Così, ci tocca per l’ennesima volta precisare a chi amministra e governa che quelli che stanno male siamo noi. Noi precari, noi disoccupati, noi sottopagati, noi cassaintegrati, noi. In campana ragazzi, che qui ci scippano perfino la disperazione.
Viviamo sul crinale della sopravvivenza, prossimi a quel girone dei dannati di cui cantavano i Pogues nel brano più bello e più triste che sia mai stato scritto sul Natale.
Certo, viviamo in una città che solo un mese fa era pronta ad accogliere con un assegno da 600.000 dollari Kobe Bryant per vederlo giocare una partita (una!!!) di pallacanestro.
Ci piacerebbe che in questa stessa città i nostri amministratori, forti del fatto che sono a inizio legislatura e quindi con il vantaggio di potersi rendere impopolari senza pagare dazio immediato alle elezioni, annotassero nelle loro agende le priorità che noi operatori del welfare da tempo stiamo indicando: lotta ai privilegi e ai privilegiati, alle competenze fuori posto, contrasto allo spreco di risorse che implica l’insensata rincorsa all’opera pubblica di ultimo grido.
Salvare il welfare significa garantire un livello di vita degna ai cittadini, a tutti i cittadini. Significa sottrarre alla scomparsa questa nostra civiltà.
Continueremo a impegnarci per questo e per altro, per l’introduzione del Reddito minimo garantito per i diritti dei migranti e degli studenti, dei lavoratori e dei disoccupati. “È la giustizia, non la carità, che manca nel mondo” scriveva già nel 1792 la libertaria Mary Wollstonecraft nella Rivendicazione dei diritti della donna.
Continueremo a lavorare in favore di un cambiamento di prospettiva che ridia al futuro il volto della speranza e non quello del pericolo imminente.
Prima o poi dovrà pur dissolversi questa stagione insensata del neoliberismo a tutti i costi, dell’emulazione del vuoto, del consumo arrapato come energia esistenziale. Prima o poi dovremo pur tornare a vivere. Dovrà pur rivelarsi un altro umanesimo.
L’anno che sta finendo non ci lascia in eredità soltanto avversità e disillusioni: siamo stati in tanti a lavorare per il successo dei referendum di primavera, siamo stati in tanti a imporre all’attenzione politica novità di contenuti che sono poi entrati nelle elezioni amministrative, siamo stati in tanti a batterci contro la devastazione del territorio da parte di opere il più delle volte inutili e costose, siamo stati in tanti a gridare la nostra indignazione senza permettere che diventasse urlo sterile e solitario, in tanti a lavorare per l’inizio di un percorso innovativo di progettualità sociale, di riorganizzazione del bene collettivo.
Nel 2012 continuiamo a starci vicino.
*coordinamento “Educatori contro i tagli”
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