Contratti sempre peggiori per educatori, assistenti di base, operatori sociali
Venerdì 16 dicembre è stata firmata l’ipotesi d’accordo sul CCNL delle cooperative sociali tra CGIL, CISL e UIL, Legacoop, Confcooperative, AGCI e Federsolidarietà. Nel nuovo Ccnl (il precedente è scaduto nel 2009) è previsto l’inserimento dell’apprendistato formativo obbligatorio ai fini dell’assunzione. I prossimi laureandi in Pedagogia o Scienze della Formazione saranno obbligati a svolgere un apprendistato di 24 mesi, in cui la paga mensile è dell’85% rispetto alla spettante qualifica.
Un lavoro semi gratuito che si deve sommare al periodo completamente gratuito di tirocinio svolto durante la laurea che va dalle 300 alle 400 ore. Già la paga di un educatore con un contratto a tempo parziale o indeterminato è una paga da fame, con l’inserimento dell’apprendistato essa si abbassa ulteriormente, facendo scivolare sempre di più la mansione dell’educatore verso il volontariato. Negli ultimi anni, con l’inasprirsi della situazione economica e i tagli conseguenti, padroni e sindacati (i primi per difendere i propri interessi, i secondi, ormai inutili, per poter continuare a esistere come colossi burocratici) hanno reso il settore sociale un vero e proprio brodo primordiale: dalla solita collaborazione occasionale con ritenuta d’acconto, all’invenzione di tipologie contrattuali come “animatore sportivo non professionale”, passando attraverso i soli rimborsi spesa, i contratti part-time di 2 ore a settimana, l’assunzione previo un anno di volontario come servizio civile (la cui paga è 430 euro al mese per svolgere 6 ore al giorno di lavoro), sino a giungere a proposte indecenti (ma pur sempre accettate da studenti) di svolgere turni notturni, da soli in una struttura, venendo pagati 20 euro a notte.
Insomma, la varietà e la fantasia dei contratti vigenti e inventati nel sociale non finisce mai di stupirci. Ma andando oltre le novità che emergono da tale settore e facendo un attimo un bilancio di quella che è la situazione (proprio per evitare il rischio di perdersi nei rivoli delle varie nefandezze che quotidianamente emergono), un educatore, un operatore sociale, un Oss, deve fare i conti con la sua condizione sempre più in via di proletarizzazione, condizione alla quale i sindacati non mancano di dare man forte e di mostrarsi palesemente collusi con la parte padronale.
Chi adesso sta studiando oppure si trova alle prime esperienze relative all’entrata lavorativa nel settore sociale, è spesso una persona che si ritrova isolata e impreparata ad affrontare la varietà delle situazioni estreme che le vengono poste; spessissimo molte persone accettano incarichi fantasma con paghe misere e in condizioni improponibili “pur di mettere le mani in pasta”, o addirittura li accettano come volontari pur di accumulare un granellino di esperienza.
Educatori, quello che oggi ci stanno imponendo ricade su tutta la classe lavoratrice come deprezzamento della forza lavoro!
Quando ci fu il boom del Servizio Civile, un esercito di studenti delle varie facoltà ci si è buttato, vedendo il Servizio Civile come una prima possibilità di impiego, in quel limbo di tempo che prevedeva il passaggio dall’istruzione al lavoro; l’effetto su larga scala dell’inserimento del servizio civile ha avuto come risultato l’abbassamento vertiginoso delle paghe orarie e l’assimilazione, di fatto, di alcune attività lavorative al volontariato.
Oggi il servizio civile potrebbe essere prossimo alla chiusura o almeno ridimensionato, anche perché l’anno precedente il governo Berlusconi, dopo aver sentito “brezza” di guerra, ha preferito trasferire i soldi destinati al Servizio Civile al progetto “Mini Naja” di La Russa , progetto che prevede l’inserimento di figure militari nelle scuole elementari e medie in pacchetti orari, con la finalità di fare familiarizzare al bambino la figura del militare.
L’esempio del Servizio Civile è illuminante per comprendere come nel momento acuto di una permanente crisi economica, il settore sociale, tra le altre cose nato sulla scia della precedente crisi economica, sia il primo ad essere fatto fuori.
Se guardiamo un po’ più da vicino il fenomeno, dobbiamo ricordarci che l’esplosione del “sociale” che è avvenuta negli anni 1970, era una diretta conseguenza del fatto che lo Stato preferì appaltare a privati la gestione del welfare, perchè questo pesava troppo sui bilanci statali.
È ovviamente giusto cercare di difendersi dall’attacco al cosiddetto “Stato sociale” ma, in una situazione in cui il capitalismo non è in grado di concedere nemmeno le briciole, agitare la parola del “nuovo welfare” ha il preciso intento (per chi la agita) di portare a sé masse e gruppi di lavoratori disorientati e spaventati dalla situazione, per metterli sul piatto della bilancia in trattative con il Comune o con i sindaci stessi, usando questi stessi lavoratori per godere delle agevolazioni sindacali. La realtà è che un sindacato oggi, anche se di base, non può fare nulla per la difesa dei lavoratori perché i margini di trattativa (seppur minimi) che prima esistevano, oggi non ci sono più, spesso quelle che vengono ritenute vittorie dal sindacato sono il passaggio dalle 16 alle 18 ore di lavoro settimanali… Stiamo parlando di briciole; come fa una persona a vivere di questo, se non ha dietro di sé il più grande ammortizzatore sociale del momento: la famiglia?
L’invito è quindi quello di prendere in mano la propria situazione lavorativa: che ogni educatore operatore sociale o Oss, per esempio, inizi a leggersi il proprio contratto, impari a leggere le buste paghe e le norme di sicurezza insieme ai propri colleghi. Per superare la frammentazione e l’isolamento dato dalle diverse forme di contratto e di mansione, è necessario che i lavoratori si trovino a discutere delle proprie condizioni di lavoro fuori dai sindacati, confrontandosi con le altre realtà di lavoratori presenti sul territorio.
Se un educatore non vuole scioperare perché sa che il suo sciopero ricade direttamente sull’utenza, questo non significa che non debba fare nulla o che abbia le mani legate così come gli vogliono fare credere le dirigenze e i sindacati: in ogni luogo di lavoro ogni gruppo di educatori può trovare le forme per difendere il proprio interesse di classe e il proprio posto.
La denuncia pubblica, politica, delle proprie condizioni di lavoro è un altro strumento che ogni gruppo di lavoratori che si auto-organizza può mettere in campo.. E’ vero che i lavoratori del sociale, laddove decidessero di scioperare, non farebbero grandi danni ai profitti: bloccare la prestazione di un servizio non reca lo stesso danno economico di chi blocca la produzione, ma proprio perché l’attacco che oggi stiamo subendo come classe, non riguarda solo una categoria di lavoratori, ma la classe nel suo complesso, non ha senso muoversi corporativamente preoccupandosi solo della difesa della propria categoria.. Una lotta di lavoratori del sociale può avere forza solo se si connette, alle lotte di lavoratori di altri settori. Infatti, solo con la lotta — che, come abbiamo visto, per essere efficace, deve superare i limiti del sindacalismo — è possibile almeno contrastare gli attacchi del capitale e, perché no?, strappare qualcosa (fosse solo, per esempio, il ritiro integrale dei licenziamenti in una specifica azienda o la cessazione dell’arroganza padronale contro i lavoratori più combattivi); solo con la lotta, vera, i lavoratori si “allenano” allo scontro col capitale e i suoi servi e cominciano a porsi, in concreto, la prospettiva del superamento di questo sistema sociale
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