Visualizzazioni totali
venerdì 12 aprile 2013
domenica 7 aprile 2013
POSTIAMO ARTICOLO "ANNAMARIA, ROMEO E GIUSEPPE. LA NOSTRA VERGOGNA":
ANNAMARIA, ROMEO E
GIUSEPPE. LA NOSTRA
VERGOGNA.
di Paolo Coceancig*
Si sono vergognati. Strangolati
da una politica economica che di loro non sapeva che farsene, se non sangue da
tributare all’unica divinità incontestabile di questo inizio millennio, la parità
di bilancio. Si sono vergognati. Accerchiati dall’indifferenza immorale del potere,
troppo impegnato a propagandare il vaniloquio autoreferenziale dei suoi
associati gaudenti. E si sono vergognati di noi. Noi che siamo servizio
sociale. Noi che siamo deputati all’accoglienza. Annamaria e Romeo hanno
preferito andarsene in silenzio in una disgraziata giornata marchigiana
piuttosto che venire da noi, come li aveva esortati a fare il sindaco della
loro città. Chiedere aiuto è cosa che stona con l’apoteosi del “fai da te” e
della ricchezza ostentata di questi nostri schifosi anni. “L’orgoglio e la dignità di una vita intera hanno impedito a
quella coppia in disgrazia di rendere pubblico il proprio disagio” scrive Massimo
Gramellini su “La Stampa ”.
E
allora, di fronte ad una tragedia come questa, noi lavoratori del sociale non
possiamo rimanere in silenzio, siamo troppo coinvolti, ci siamo troppo dentro:
la storia di Annamaria, Romeo e Giuseppe è una nostra storia. Dal suo profilo su face book Ida Dominijanni ci
ammonisce, di fronte a tragedie come queste, a rifiutare la logica del silenzio
riflessivo, a trasformare il giusto cordoglio in partecipazione attiva,
“raccontando la disperazione di vite come queste per offrire a Romeo,
Annamaria, Giuseppe e ai tanti, troppi come loro, l’unico gesto di solidarietà
estrema, seppur fuori tempo massimo”.
Cos’è successo
in questi ultimi trent’anni, cosa ci è successo? Com’è potuto accadere questo
imbarbarimento che pare senza ritorno e che porta le persone ad anteporre la
morte come scelta alla sacrosanta rivendicazione di un diritto che un tempo si
sarebbe detto inviolabile?
Certo, non si
parte favoriti in un conflitto portando sulle spalle la zavorra nostalgica del
“c’era una volta” e gli anni settanta sono stati anche anni duri, bui, di sconfitte,
sangue, tanta eroina e contrapposizioni spesso inutili. Ma anche delle ultime
grandi conquiste sociali di questo paese, inutile metterle qui tutte in fila. Sono
stati gli anni in cui, beata ingenuità, si pensava che il consolidamento dello
stato sociale fosse definito una volta per tutte e che nessuno, mai più nessuno
da destra o da sinistra, avrebbe messo in discussione l’idea che uno stato per
dirsi veramente e concretamente civile dovesse avere tra le sue priorità quella
di ridurre le disuguaglianze sociali. La grossolana prosperità degli anni ottanta ci aveva
poi illuso di vivere in un paese che potesse far fronte senza troppa fatica ai
bisogni del cittadino licenziato, socialmente ai margini, con la convinzione
che l’assistenzialismo fosse parte integrante del modello economico imperante,
accettando di conseguenza la fine dell’ideale
alto, propugnato dai grandi pensieri del novecento europeo, dell’inclusione
sociale di tutti, ma proprio tutti, gli individui. Ecco dove ci ha portato quel lontano, primo
cedimento: a Civitanova Marche, Aprile 2013. Perché le responsabilità della
sinistra sono enormi: annacquandosi nel corteggiamento al moderatismo delle
alleanze strategiche con banchieri e affaristi vari con l’obiettivo, peraltro mai
centrato appieno, di governare comunque, ha smesso da tempo di parlare alla sofferenza
della gente, ha lasciato che masse di disperati si buttassero nelle mani dei
patetici vichinghi di Pontida o peggio, appesi ai sorrisi trentaduedenti del
donatore di sogni brianzolo. A pensarci ora, che pensiero debole la paura della
radicalità. Perfino quelli che fino a ieri avevano propugnato il liberismo
temperato (?) come verità assoluta, oggi rimproverano al PD una scarsa
incisività e una eccessiva sudditanza ai doveri di alleanza verso il governo
Monti. Quanta ipocrisia nei commentatori di casa nostra, ancora una volta tutti
pronti a saltare sul carro del vincitore del momento, fosse anche solo un
comico esaltato da un improvviso picco di notorietà.
E la
solidarietà, che brutta bestemmia. Un tempo sinonimo di diritto e oggi, ormai del
tutto avvelenata
dall’esuberanza penosa del miserabile mitomane di Arcore e della sua claque
patetica e arrogante, percepita come elemosina ai pezzenti, beneficienza da questua
domenicale. Non abbiamo certo
dimenticato gli ignobili siparietti di Berlusconi che tronfio esibisce in
televisione la sua bontà imbevuta di assegni a nove zeri in favore del Don
Gelmini di turno o che urla ai quattro venti la penosa (oltre che mai avvenuta)
adozione della famiglia di disperati albanesi appena scesi da un gommone a
Bari. Ridevamo delle boutades di quel
cialtrone, e invece in quei passaggi televisivi si celebrava la fine del welfare state di casa nostra, la fine di
conquiste sociali pagate con il prezzo di migliaia e migliaia di morti. Aprile
2013, Civitanova Marche, altri morti.
La nostra speranza appesa ormai
solamente all’unico gesto d’amore autentico in questa brutta storia, Giuseppe
che si butta nel mare per troppo dolore. Per un istante, il riscatto dell’uomo
su così tanta disumanità. Dobbiamo molto a Giuseppe, tutti quanti.
Tagli dappertutto. Tagli da
tutte le parti. Risanamento, aziendalizzazione, riformulazione, rimodulazione:
una ridda di vocaboli in maschera per occultare l’unico dato reale: che il nostro
welfare sta andando a puttane. E se non bastasse,
ancora tutti costretti a sorbirci la filastrocca ormai insopportabile che i
fondi per il riequilibrio del sistema socio-sanitario vanno cercati al suo
interno (che ne so: meno ospedali e più servizi ai minori oppure meno
ambulatori e più “una tantum” agli anziani, la solita guerra tra sfighe e
sfigati) e non negli sprechi abominevoli all’esterno (opere faraoniche senza
senso, corse agli armamenti che non meriterebbero neppure una striscia di Sturmtruppen).
Basta.
Basta. Basta.
E
diciamocelo infine cosa avrebbero trovato Annamaria e Romeo se si fossero
rivolti ai Servizi Sociali. Quasi sicuramente una spaventata Assistente Sociale
fuori sede, contratto trimestrale, chiusa nel suo piccolo ufficio il più delle
volte nello scantinato del palazzo comunale, e una sfilza di “Non ci
sono più soldi, provate a chiedere alla Caritas. Ci potrebbe essere
l’opportunità di una Borsa Lavoro, 2,70 euro all’ora, ma mi sa che siete un po’
in là con gli anni” o in alternativa “ma non avete qualcuno in famiglia che vi
possa aiutare?”
Rivolgersi ai
Servizi Sociali era la loro vergogna, la nostra, se l’avessero fatto, sarebbe
stata quella di non avere più nulla o quasi, da offrire loro.
*degli “Educatori contro i tagli”
domenica 31 marzo 2013
RIPRENDIAMO ARTICOLO DA REDATTORESOCIALE SULLA NOSTRA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE:
Educatori contro i tagli, in 200 senza stipendio da giugno a settembre
A
Bologna parte la campagna degli operatori sociali che lavorano nella scuola:
''Abbiamo contratti da 12 mesi ma da giugno a settembre, con la chiusura delle aule,
non siamo pagati e non abbiamo diritto alla disoccupazione"
BOLOGNA
- Gli “educatori
contro i tagli” di Bologna e provincia lanciano una mobilitazione per
denunciare il non pagamento di molti operatori sociali durante l'estate. Colpa
dei contratti che durano sì un anno intero, ma che non prevedono il pagamento
delle ferie. A Bologna è successo la scorsa estate ai lavoratori che
garantivano il sostegno scolastico agli alunni certificati. Trecento persone
sono rimaste senza stipendio dall'inizio di giugno a metà settembre e non hanno
potuto nemmeno ottenere l'indennità di disoccupazione. Ora la situazione
potrebbe ripetersi, e un gruppo di educatori ha lanciato la campagna di mobilitazione
"Quest'estate resteremo in mutande". Sotto lo slogan la foto di
quattro uomini, in boxer e con le facce coperte dal simbolo di un panda
arrabbiato. Un modo originale per lanciare una protesta. "I bisogni
educativi e socio-sanitari si sciolgono con il caldo e l'educatore è di
conseguenza inutile", si legge sul volantino di lancio dell'iniziativa. E
ancora: "Contratti su 12 mesi ma lavoro su 9 mesi". Nelle prossime
settimane il gruppo di educatori lancerà un incontro pubblico per informare la
cittadinanza sul problema.
“Quest'anno le cose miglioreranno, ma non basta – spiega Fabio Perretta di Usb –. L'ultimo bando del Comune di Bologna ha assicurato continuità lavorativa anche in estate agli educatori già impiegati durante l'anno scolastico con i bambini con handicap. Ma si fa riferimento solo ai bambini da 6 agli 11 anni. Tra gli altri resteranno scoperti gli operatori che assicurano il pre e il post scuola”. Secondola Fp-Cgil
saranno complessivamente tra i 100 e i 200 i lavoratori che rimarranno senza
stipendio tra giugno e settembre. “Tra questi - spiega Anna Maria Margutti
della Fp-Cgil - ci sono anche persone che lavorano per delle polisportive
vincitrici di appalti nel settore scolastico. Mesi fa abbiamo segnalato il
problema all'Inps e attualmente sono in corso dei controlli”. La notizia è
confermata da Usb e anche dal dirigente scolastico dell'istituto comprensivo 12
di Bologna. “Dal Comune tramite il quartiere ci è stato affidato un budget
annuale di 37mila euro per i servizi di pre e post scuola, in tutto parliamo di
sette lavoratori coinvolti – racconta Filomena Massaro - . Quando abbiamo messo
a bando il servizio si è presentata solo la polisportiva Energym, adesso che ci
sono i controlli la paura è che il prossimo bando andrà deserto, e i servizi di
pre e post scuola non potranno più essere garantiti a nessuno”. Gli educatori
che lavorano per Energym dichiarano di essere stati contrattualizzati come
“educatori sportivi”, spiegano di non avere diritto alla retribuzione dei
periodi di malattia e delle ferie, “ma ci chiedono comunque di consegnare i
certificati di malattia se abbiamo problemi di salute”. Per il momento Energym
rifiuta di rilasciare dichiarazioni in merito. “Che ci siano delle situazione
irregolari o al limite dell'accettabile è sotto gli occhi di tutti, da tempo
abbiamo una trattativa aperta col Comune di Bologna, chiediamo almeno il
rispetto dei contratti nazionali, cosa che al momento non avviene – continua
Margutti della Cgil –. Da parte nostra continueremo a denunciare situazione di
irregolarità, come l'utilizzo di voucher o forme similari per pagare i
lavoratori. Per quanto riguarda i servizi educativi a Casalecchio siamo
riusciti a raggiungere un accordo complessivo, bisognerebbe riuscirci anche a
Bologna, possibilmente entro il 2013. Si tratta solo di volontà politica”.
“Quest'anno le cose miglioreranno, ma non basta – spiega Fabio Perretta di Usb –. L'ultimo bando del Comune di Bologna ha assicurato continuità lavorativa anche in estate agli educatori già impiegati durante l'anno scolastico con i bambini con handicap. Ma si fa riferimento solo ai bambini da 6 agli 11 anni. Tra gli altri resteranno scoperti gli operatori che assicurano il pre e il post scuola”. Secondo
giovedì 28 marzo 2013
POSTIAMO ARTICOLO, NOI E LUI (Beppe Grillo, che fare?):
NOI E
LUI (Beppe Grillo, che fare?)
di Paolo Coceancig*
Dunque, Grillo e il
grillismo. Bisognerà pur che ci si faccia i conti, tutti, anche noi lavoratori
del sociale. Non c’è dubbio che antropologicamente il fenomeno sia in perfetta
continuità con l’involuzione del sistema politico cui il berlusconismo (che
nasce ben prima del Berlusconi governante) negli anni ottanta diede un’accelerazione spaventosa. Da un punto
di vista dell’organizzazione politico-istituzionale siamo ancora dalle parti
dell’ultraevoluzionista Herbert Spencer: in sostanza un gruppo sopravvive solamente
grazie all’idea della minaccia esterna costante (per Berlusconi i magistrati e
i comunisti, per Grillo il resto del mondo). E’ questo l’assioma che spinge il
M5S, a maggior ragione in quanto strutturato solamente nello spazio virtuale e
parziale di un blog, a dotarsi di una guida autoritaria e decisamente centralizzata. La conseguenza è il rifiuto a priori di ogni
confronto, non solo con gli organismi politico-sociali tradizionali (partiti e
sindacati), ma anche con qualsiasi altra realtà culturale e di lotta con cui, a
partire dai contenuti, potrebbe trovare tranquillamente delle convergenze. Ma, tralasciando
il fatto che contrapporre
una società civile onesta pulita a una classe politica corrotta e priva di
valori (che in realtà altro non è che la sua perfetta rappresentazione) prima
ancora che superficiale, è semplicemente ridicolo, da dove arriva tutta questa
idiosincrasia per tutto ciò che si muove (si muove) al di fuori del verbo grillino?
Questa chiusura totale per ogni ipotesi di contaminazione, questa ininterrotta
esibizione di manicheismo? Mi verrebbe da pensare, estremizzando la riflessione
manifestata dai Wu Ming in alcune recenti e condivisibili incursioni sui media
nazionali e internazionali, che il Grillo politico sia nato a Genova in quel
maledetto Luglio del 2001, negli stessi giorni in cui moriva il Movimento dei
movimenti. Attenzione, moriva lasciando in vita tutte, ma proprio tutte, le ragioni
per cui era sbocciato. E Grillo, anticipando tutti i tentativi di
riorganizzazione dall’interno di quelle esperienze, con abilità le ha fatte sue
raccogliendole ad una ad una, attraversando con le sue urla e i suoi vaffa il
primo decennio del nuovo millennio. I Wu Ming vanno oltre, sostenendo che il
grillismo, dopo essere nato sulla scia della fine di quei movimenti, oggi ne sia
esso stesso concausa
per
via della sistematica “cattura” delle istanze delle lotte territoriali,
soprattutto di quelle più “fotogeniche”.
Difficile non essere d’accordo. Soprattutto di fronte ad un movimento che alla
prova del successo (lo sfondamento elettorale) e dunque del passaggio dalla
protesta alla proposta, comincia a denunciare tutti i suoi limiti in termini di
incisività sociale. Anche a Parma pare
che non se la passino benissimo. Ora, mettiamo pure da parte la biografia ultraliberista del santone Casaleggio, la
provocazione qualunquista di chi è pronto ad accettare membri di Casa Pound all’interno
del movimento, l’imbarazzante e soporifero dilettantismo dei due portavoce
parlamentari e alcuni insulsi richiami sul web stile Aldo Forbice (quello che
proponeva nel suo programma radio appelli del tipo “siete contro la violenza sui
bambini?”, firmerebbero senza alcuna difficoltà
anche Storace e Jack lo squartatore), ma qui si avverte pochezza di idee
o peggio, superficialità d’approccio. Tante invocazioni estemporanee e poca
progettualità.
I contenuti però ci sarebbero, eccome. Con onestà
intellettuale dobbiamo riconoscere che è stato il loro successo elettorale a
riportare certi temi a noi così cari (fine delle grandi opere inutili,
abbattimento delle spese militari, sussidio di disoccupazione, scuola e sanità
pubbliche) al centro del dibattito politico. In un certo senso Grillo ce li ha
scippati e noi, per rispondere alla solita, cara, antica domanda, che fare?, dobbiamo ora sudare le
proverbiali sette camicie per riprenderceli, ma non abbiamo scelta: per evitare
pericolose derive autoritarie del popolo dei mouse, dobbiamo farlo. Dobbiamo
riportarli a casa quei contenuti, dentro i loro spazi naturali, che sono quelli
della sinistra tout court, senza se e
senza ma. Anche Nichi Vendola, che pure l’occasione di porsi alla guida di
tutta l’opposizione sociale che è esplosa nel paese ai tempi dell’insediamento
del governo Monti l’aveva avuta e la cosa avrebbe probabilmente arginato non di
poco il dilagare del M5S, perso quel treno oggi si trova in una terra di mezzo
nella quale gli riesce difficile un agire politico libero da condizionamenti
istituzionali. Consola il fatto che non dovrebbe essere impossibile aprire delle
crepe dentro l’apparente monolitismo del M5S quando si arriverà al dunque, alle
decisioni da prendere, alle scelte irreversibili di campo. Grillo sa bene che affrontare alcuni temi sensibili per la
base eterogenea del suo movimento (l’impressione è che in quel calderone ci sia
un po’di tutto: dalla rustica e volgare grossolanità dei leghisti della prima ora
a certo antagonismo movimentista dell’ultimo decennio) potrebbe essere fatale. Non vorrei peccare in
eccesso di ottimismo, ma ho la convinzione che alla fine i tanti amici e
compagni che hanno scelto di militare nel M5S con l’intento nobile di “far
saltare il vecchio sistema”, si stancheranno di accontentarsi della ripetuta
messa in scena in diretta streaming
della caricatura della democrazia diffusa, di rimanere ostaggi dell’assemblearismo
persistente di facciata. Noi intanto dobbiamo
rimanere dentro ogni spazio, e se ne stanno aprendo parecchi, di conflitto e di
proposta agita sul territorio. E’ lì che troveremo i nostri nuovi compagni di
strada, è lì che ritroveremo chi al momento ha scelto (legittimamente, s’intende)
la scorciatoia della lagnanza scombinata del provetto guastatore da superblog.
E infine, veniamo a noi. Noi lavoratori del sociale intendo. Ho cercato di capire in
tutti i modi quale fosse il progetto di welfare
che il M5S ha in mente per il futuro del paese, ma non sono riuscito a trovare nulla
che andasse un po’ più in là di alcune generiche e ovviamente condivisibili
affermazioni di principio. Il collega padovano Giovanni Endrizzi, neosenatore
(a proposito, salutiamo con favore un educatore professionale a Palazzo Madama),
fa sapere che il programma per il welfare, come per tutto il resto, nascerà dal confronto
con i cittadini tramite il web come fatto finora. Non mi basta, non ci basta. Sinceramente
ci stanno un po’ annoiando le rivoluzioni fatte con il mouse.
*degli “Educatori contri i Tagli”.
venerdì 22 marzo 2013
CAMPAGNA DI ADESIONE E SENSIBILIZZAZIONE SUL LAVORO ESTIVO E NON SOLO.
domenica 17 marzo 2013
mercoledì 13 marzo 2013
RIPRENDIAMO ARTICOLO DA REPUBBLICA.IT:
Verso il referendum a nervi tesi.
Merola: "Delirio, ci costa troppo"
Merola: "Delirio, ci costa troppo"
Il sindaco rompe il silenzio sulla consultazione e incassa il plauso del Pdl. Sel s'infuria e chiede rispetto per i cittadini. Si divide anche la Cgil
DI SILVIA BIGNAMI e BEPPE PERSICHELLA
Il referendum contro il finanziamento delle materne cattoliche manda in crisi il centrosinistra. Gli alleati Pd e Sel litigano, la Cgil si spacca. Il Pdl su questo punto appoggia la giunta che difende il sistema in convenzione con le paritarie, adottato dal ’94. Il sindaco Virginio Merola, definisce «un delirio» spendere 500mila euro per una consultazione che ruota attorno al milione di euro per le scuole paritarie. Si arrabbiano i vendoliani, che dopo una giornata di bordate sbottano e firmano una nota contro Merola, Pd e Camera del Lavoro. Con chiosa del consigliere Sel Lorenzo Cipriani su Facebook: «Aveva ragione Cofferati a parlare di una città consociativa».
Una guerra aperta sulla quale si rischia lo strappo a sinistra. Con la battaglia lanciata dall’associazione Articolo 33 per bloccare il finanziamento alle private che garantisce un posto a 1700 bambini “convenzionati”. Di questo si preoccupa il sindaco Merola, che ribadisce la parola d’ordine della giunta: «Non uno di meno». E aggiunge: «La mia posizione è nota ed è bene tutti i cittadini sappiano, che siano informati. Noi ci occupiamo di tutti i bambini, che vadano alle comunali, alle statali o alle private. E lavoriamo prima di tutto sulle liste d’attesa». Parole che segnano e rafforzano l’asse Pd-Pdl sul tema dei fondi alle materne. Unica ad esultare alle parole del sindaco è la berlusconiana Valentina Castaldini, che rilancia con una proposta provocazione: «Facciamo il referendum negli uffici comunali, invece che nelle scuole. Sarebbe folle chiuderle ancora, le penalizzeremmo ulteriormente. Già questa consultazione ci costa 500mila euro, la metà di quanto ci costa il finanziamento contestato...».
Il rischio che la difesa delle scuole paritarie avvicini “troppo” il Pd al Pdl è tuttavia proprio alla base delle timidezze dei Democratici. Per questo via Rivani prova a non prendere troppo “di punta” il referendum, sostenuto dagli alleati di Sel e dal Movimento 5 Stelle. Partito il tour nei quartieri dell’assessore alla scuola Marilena Pillati, ieri sera anche il segretario Pd Raffaele Donini ha annunciato l’avvio di stati generali Democratici sulla scuola, ad aprile, per informare i cittadini sulle conseguenze dello stop ai fondi alle private, e ha lanciato una petizione per chiedere più sezioni statali (oggi ferme al 17%) sotto le Torri. A mediare interviene pure il capogruppo Pd in Regione Marco Monari: «Chi decide è il sindaco. Lui è stato votato ed eletto col suo programma, che prevedeva un sistema integrato pubblicoprivato — spiega Monari —. Quindi invece che dividerci tra Coppi e Bartali, proviamo a guardare oltre la punta dell’iceberg della legittima proposta di Articolo 33». Come dire: a prescindere dal risultato della consultazione, deciderà il Merola.
Si spacca, sul tema del referendum, anchela Camera del Lavoro. «Non prendiamo posizione. Il referendum è un importante strumento democratico ma non è sufficiente a risolvere una questione così seria» ha detto ieri il segretario Danilo Gruppi. Nessuna indicazione di voto quindi da parte della Cgil, anche se pezzi significativi della Camera del Lavoro sostengono già apertamente il referendum, dalla Fiom all’area programmatica “La Cgil che vogliamo”. Gruppi sdrammatizza — «anche noi siamo attraversati da opinioni diverse e articolate» — ma boccia l’eccesso di contrapposizione ideologica: «Non serve l’ennesima guerra di religione. Il vero scandalo sono le poche sezioni statali presenti a Bologna, ma la città, invece che indignarsi, mette in scena il solito teatrino».
Tutte “timidezze” che ieri sera hanno convinto i vendoliani a un duro comunicato che prende di mira tutti e che chiede «maggiore rispetto per lo statuto comunale e per l'istituto del referendum. Aprire poi nuovamente il dibattito sui costi connessi alla partecipazione democratica dei cittadini sarebbe anacronistico. Sottovalutare la consultazione sarebbe non una perdita di soldi, ma di idee».
Una guerra aperta sulla quale si rischia lo strappo a sinistra. Con la battaglia lanciata dall’associazione Articolo 33 per bloccare il finanziamento alle private che garantisce un posto a 1700 bambini “convenzionati”. Di questo si preoccupa il sindaco Merola, che ribadisce la parola d’ordine della giunta: «Non uno di meno». E aggiunge: «La mia posizione è nota ed è bene tutti i cittadini sappiano, che siano informati. Noi ci occupiamo di tutti i bambini, che vadano alle comunali, alle statali o alle private. E lavoriamo prima di tutto sulle liste d’attesa». Parole che segnano e rafforzano l’asse Pd-Pdl sul tema dei fondi alle materne. Unica ad esultare alle parole del sindaco è la berlusconiana Valentina Castaldini, che rilancia con una proposta provocazione: «Facciamo il referendum negli uffici comunali, invece che nelle scuole. Sarebbe folle chiuderle ancora, le penalizzeremmo ulteriormente. Già questa consultazione ci costa 500mila euro, la metà di quanto ci costa il finanziamento contestato...».
Il rischio che la difesa delle scuole paritarie avvicini “troppo” il Pd al Pdl è tuttavia proprio alla base delle timidezze dei Democratici. Per questo via Rivani prova a non prendere troppo “di punta” il referendum, sostenuto dagli alleati di Sel e dal Movimento 5 Stelle. Partito il tour nei quartieri dell’assessore alla scuola Marilena Pillati, ieri sera anche il segretario Pd Raffaele Donini ha annunciato l’avvio di stati generali Democratici sulla scuola, ad aprile, per informare i cittadini sulle conseguenze dello stop ai fondi alle private, e ha lanciato una petizione per chiedere più sezioni statali (oggi ferme al 17%) sotto le Torri. A mediare interviene pure il capogruppo Pd in Regione Marco Monari: «Chi decide è il sindaco. Lui è stato votato ed eletto col suo programma, che prevedeva un sistema integrato pubblicoprivato — spiega Monari —. Quindi invece che dividerci tra Coppi e Bartali, proviamo a guardare oltre la punta dell’iceberg della legittima proposta di Articolo 33». Come dire: a prescindere dal risultato della consultazione, deciderà il Merola.
Si spacca, sul tema del referendum, anche
Tutte “timidezze” che ieri sera hanno convinto i vendoliani a un duro comunicato che prende di mira tutti e che chiede «maggiore rispetto per lo statuto comunale e per l'istituto del referendum. Aprire poi nuovamente il dibattito sui costi connessi alla partecipazione democratica dei cittadini sarebbe anacronistico. Sottovalutare la consultazione sarebbe non una perdita di soldi, ma di idee».
(13 marzo 2013)
giovedì 7 marzo 2013
La demolizione del Welfare, l'ombelico di Grillo e le nuove sfide dei movimenti sociali
La demolizione del Welfare, l'ombelico di Grillo e le nuove sfide dei movimenti sociali
La situazione del welfare nel nostro paese la conosciamo, è purtroppo ormai nota e drammatica. I tagli ai fondi, destinati alle non autosufficienze ed alle marginalità sociali, si sono riversati a pioggia ovunque, colpendo i bisogni degli utenti e la condizione lavorativa degli operatori del settore.
I primi hanno visto non garantite le cure e l'assistenza minima, (il caso dei tagli, per fortuna in parte rientrati ai malati di Sla, è stata solo la punta drammatica di questo iceberg), mentre i secondi, gli operatori, attraversano condizioni lavorative sempre più precarie, ricattabili, intermittenti, quando non sono semplicemente in esubero.
Il successo di Grillo affonda anche in questa drammatica rottura del patto sociale. L'attacco di Grillo alla politica ed ai sindacati parla anche di questo. Un esempio emblematico è la regione Emilia Romagna, un tempo regione ricca, con sistemi di welfare avanzati. Uno degli ingredienti che ha contribuito all'ottimizzazione del sistema welfare emiliano è stato un processo di esternalizzazione di parti di gestione, sempre più cospicue, dei servizi, verso le cooperative sociali.
Alcune di queste hanno fatto la parte da leone in questo processo e sono diventate per numero di lavoratori, utili e influenza politica delle vere e proprie multinazionali bianche o rosse. Il processo di esternalizzazione ha permesso un "toyotismo sociale" che ha prodotto forme di sperimentazione e di intreccio pubblico-privato.
Ciò spesso è stato fatto a danno dei lavoratori, che nel privato sociale hanno sicuramente buste paga più leggere, ma anche diritti meno certi e di volta in volta da mediare con la cooperativa stessa, con le indicazioni della committenza e altre infinite variabili. Tutto ciò è avvenuto con il beneplacito della politica, che scarica alle cooperative la gestione del lavoro e nel silenzio del sindacato. Uso il singolare perché in Emilia Romagna la Cgil è il sindacato con il maggior peso e la maggior influenza.
I numeri con cui Grillo si è affermato anche in Emilia Romagna, erodendo voti anche al Pd nell'ordine delle decine di migliaia, parlano chiaro. L'affermazione del M5S in regione può essere un elemento di rottura di questo ordine degli equilibri di potere.
E ora? In parlamento in questo momento i grillini hanno il boccino in mano. Mai come ora ciò può dare vita a dinamiche di trasformazione (o al loro contrario se ciò non avvenisse). La situazione sembra che di colpo si possa muovere veloce e ciò è sicuramente un bene. I grillini eletti possono decidere se obbedire al duo Grillo/Casaleggio, difendere la loro purezza e non porsi il problema della politica, che è anche governo, se si vuole trasformare l'esistente.
Altrimenti i loro elettori per cosa li hanno votati? Molti punti del programma, con cui i candidati del M5S sono stati eletti, sono condivisibili se e solo se trovano la strada per essere tradotti in pratica politica. Altrimenti, ai tatticismi e alle ideologie dei vecchi partiti e partitini di sinistra, si aggiungeranno i nuovi arrivati grillini.
Il ruolo dei movimenti sociali, in questo periodo non può limitarsi a quello degli osservatori da tribuna, tifando o maledicendo quello che avviene in Parlamento e nelle altre istituzioni. Dopo più di un anno di stagnazione è tempo di ripartire. A memoria, l'ultima grande manifestazione senza partiti in Italia è stata quella del 15 ottobre 2011, quando centinaia di migliaia di persone che già stavano pagando la crisi, chiedevano la destituzione di Berlusconi e ponevano il tema della ricerca urgente di un'alternativa politica, sociale e di sistema, parlando di difesa della scuola pubblica, della sanità, del welfare, dei beni comuni, di riduzione delle spese belliche.
E' ora che i movimenti sociali riprendano il cammino, sperimentino e costruiscano istituzioni autonome pressando quelle esistenti. Come sempre chi siede in Parlamento potrà essere un interlocutore o un avversario.
La situazione del welfare nel nostro paese la conosciamo, è purtroppo ormai nota e drammatica. I tagli ai fondi, destinati alle non autosufficienze ed alle marginalità sociali, si sono riversati a pioggia ovunque, colpendo i bisogni degli utenti e la condizione lavorativa degli operatori del settore.
I primi hanno visto non garantite le cure e l'assistenza minima, (il caso dei tagli, per fortuna in parte rientrati ai malati di Sla, è stata solo la punta drammatica di questo iceberg), mentre i secondi, gli operatori, attraversano condizioni lavorative sempre più precarie, ricattabili, intermittenti, quando non sono semplicemente in esubero.
Il successo di Grillo affonda anche in questa drammatica rottura del patto sociale. L'attacco di Grillo alla politica ed ai sindacati parla anche di questo. Un esempio emblematico è la regione Emilia Romagna, un tempo regione ricca, con sistemi di welfare avanzati. Uno degli ingredienti che ha contribuito all'ottimizzazione del sistema welfare emiliano è stato un processo di esternalizzazione di parti di gestione, sempre più cospicue, dei servizi, verso le cooperative sociali.
Alcune di queste hanno fatto la parte da leone in questo processo e sono diventate per numero di lavoratori, utili e influenza politica delle vere e proprie multinazionali bianche o rosse. Il processo di esternalizzazione ha permesso un "toyotismo sociale" che ha prodotto forme di sperimentazione e di intreccio pubblico-privato.
Ciò spesso è stato fatto a danno dei lavoratori, che nel privato sociale hanno sicuramente buste paga più leggere, ma anche diritti meno certi e di volta in volta da mediare con la cooperativa stessa, con le indicazioni della committenza e altre infinite variabili. Tutto ciò è avvenuto con il beneplacito della politica, che scarica alle cooperative la gestione del lavoro e nel silenzio del sindacato. Uso il singolare perché in Emilia Romagna la Cgil è il sindacato con il maggior peso e la maggior influenza.
I numeri con cui Grillo si è affermato anche in Emilia Romagna, erodendo voti anche al Pd nell'ordine delle decine di migliaia, parlano chiaro. L'affermazione del M5S in regione può essere un elemento di rottura di questo ordine degli equilibri di potere.
E ora? In parlamento in questo momento i grillini hanno il boccino in mano. Mai come ora ciò può dare vita a dinamiche di trasformazione (o al loro contrario se ciò non avvenisse). La situazione sembra che di colpo si possa muovere veloce e ciò è sicuramente un bene. I grillini eletti possono decidere se obbedire al duo Grillo/Casaleggio, difendere la loro purezza e non porsi il problema della politica, che è anche governo, se si vuole trasformare l'esistente.
Altrimenti i loro elettori per cosa li hanno votati? Molti punti del programma, con cui i candidati del M5S sono stati eletti, sono condivisibili se e solo se trovano la strada per essere tradotti in pratica politica. Altrimenti, ai tatticismi e alle ideologie dei vecchi partiti e partitini di sinistra, si aggiungeranno i nuovi arrivati grillini.
Il ruolo dei movimenti sociali, in questo periodo non può limitarsi a quello degli osservatori da tribuna, tifando o maledicendo quello che avviene in Parlamento e nelle altre istituzioni. Dopo più di un anno di stagnazione è tempo di ripartire. A memoria, l'ultima grande manifestazione senza partiti in Italia è stata quella del 15 ottobre 2011, quando centinaia di migliaia di persone che già stavano pagando la crisi, chiedevano la destituzione di Berlusconi e ponevano il tema della ricerca urgente di un'alternativa politica, sociale e di sistema, parlando di difesa della scuola pubblica, della sanità, del welfare, dei beni comuni, di riduzione delle spese belliche.
E' ora che i movimenti sociali riprendano il cammino, sperimentino e costruiscano istituzioni autonome pressando quelle esistenti. Come sempre chi siede in Parlamento potrà essere un interlocutore o un avversario.
Filippo Nuzzi
sabato 23 febbraio 2013
PUBBLICHIAMO LETTERA DEGLI EDUCATORI UNITI CONTRO I TAGLI SULLE ORE PERSE NEI GIORNI DI CHIUSURA DELLE SCUOLE PER LE ELEZIONI:
Oggetto: chiusura scuole in occasione elezioni politiche nazionali 24-25 febbraio 2013.
In occasione delle elezioni politiche nazionali del 24-25 febbraio 2013, numerose scuole della Provincia bolognese saranno chiuse con differenti modalità, nei giorni prima e dopo la consultazione elettorale.
Il Coordinamento Educatori Uniti contro i Tagli vuole urgentemente segnalare e porre all'attenzione della cittadinanza un grave problema.
Educatrici ed educatori, lavoratori di cooperative sociali impegnati nei servizi di sostegno scolastico, si troveranno, in occasione della suddetta chiusura di numerose scuole, a perdere ore lavorative, che non verranno retribuite né sarà possibile recuperare.
Abbiamo tre questioni che poniamo alla Vostra attenzione:
- in una situazione storica , in cui le ore di assistenza e sostegno alle famiglie sono ridotte al minimo, la perdita ulteriore di alcune di queste ore risulterebbe un danno aggiuntivo alle famiglie stesse;
- se e come intendete procedere nel momento in cui per l’ennesima volta vengono penalizzati lavoratrici e lavoratori che già risultano sottopagati e operano in condizioni di lavoro precarie;
- perché tali ore che sono messe a inizio anno scolastico a budget dagli enti non possono essere recuperate e/o retribuite?
In attesa di un riscontro, risolutivo di tali condizioni,
Educatori Uniti contro i Tagli
Iscriviti a:
Post (Atom)