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domenica 7 aprile 2013

POSTIAMO ARTICOLO "ANNAMARIA, ROMEO E GIUSEPPE. LA NOSTRA VERGOGNA":


ANNAMARIA, ROMEO E GIUSEPPE. LA NOSTRA VERGOGNA.

di Paolo Coceancig*


Si sono vergognati. Strangolati da una politica economica che di loro non sapeva che farsene, se non sangue da tributare all’unica divinità incontestabile di questo inizio millennio, la parità di bilancio. Si sono vergognati. Accerchiati dall’indifferenza immorale del potere, troppo impegnato a propagandare il vaniloquio autoreferenziale dei suoi associati gaudenti. E si sono vergognati di noi. Noi che siamo servizio sociale. Noi che siamo deputati all’accoglienza. Annamaria e Romeo hanno preferito andarsene in silenzio in una disgraziata giornata marchigiana piuttosto che venire da noi, come li aveva esortati a fare il sindaco della loro città. Chiedere aiuto è cosa che stona con l’apoteosi del “fai da te” e della ricchezza ostentata di questi nostri schifosi anni.  “L’orgoglio e la dignità di una vita intera hanno impedito a quella coppia in disgrazia di rendere pubblico il proprio disagio” scrive Massimo Gramellini su “La Stampa”. E allora, di fronte ad una tragedia come questa, noi lavoratori del sociale non possiamo rimanere in silenzio, siamo troppo coinvolti, ci siamo troppo dentro: la storia di Annamaria, Romeo e Giuseppe è una nostra storia. Dal suo profilo su face book  Ida Dominijanni ci ammonisce, di fronte a tragedie come queste, a rifiutare la logica del silenzio riflessivo, a trasformare il giusto cordoglio in partecipazione attiva, “raccontando la disperazione di vite come queste per offrire a Romeo, Annamaria, Giuseppe e ai tanti, troppi come loro, l’unico gesto di solidarietà estrema, seppur fuori tempo massimo”.

Cos’è successo in questi ultimi trent’anni, cosa ci è successo? Com’è potuto accadere questo imbarbarimento che pare senza ritorno e che porta le persone ad anteporre la morte come scelta alla sacrosanta rivendicazione di un diritto che un tempo si sarebbe detto inviolabile?

Certo, non si parte favoriti in un conflitto portando sulle spalle la zavorra nostalgica del “c’era una volta” e gli anni settanta sono stati anche anni duri, bui, di sconfitte, sangue, tanta eroina e contrapposizioni spesso inutili. Ma anche delle ultime grandi conquiste sociali di questo paese, inutile metterle qui tutte in fila. Sono stati gli anni in cui, beata ingenuità, si pensava che il consolidamento dello stato sociale fosse definito una volta per tutte e che nessuno, mai più nessuno da destra o da sinistra, avrebbe messo in discussione l’idea che uno stato per dirsi veramente e concretamente civile dovesse avere tra le sue priorità quella di ridurre le disuguaglianze sociali. La grossolana prosperità degli anni ottanta ci aveva poi illuso di vivere in un paese che potesse far fronte senza troppa fatica ai bisogni del cittadino licenziato, socialmente ai margini, con la convinzione che l’assistenzialismo fosse parte integrante del modello economico imperante, accettando di conseguenza la fine dell’ideale alto, propugnato dai grandi pensieri del novecento europeo, dell’inclusione sociale di tutti, ma proprio tutti, gli individui.  Ecco dove ci ha portato quel lontano, primo cedimento: a Civitanova Marche, Aprile 2013. Perché le responsabilità della sinistra sono enormi: annacquandosi nel corteggiamento al moderatismo delle alleanze strategiche con banchieri e affaristi vari con l’obiettivo, peraltro mai centrato appieno, di governare comunque, ha smesso da tempo di parlare alla sofferenza della gente, ha lasciato che masse di disperati si buttassero nelle mani dei patetici vichinghi di Pontida o peggio, appesi ai sorrisi trentaduedenti del donatore di sogni brianzolo. A pensarci ora, che pensiero debole la paura della radicalità. Perfino quelli che fino a ieri avevano propugnato il liberismo temperato (?) come verità assoluta, oggi rimproverano al PD una scarsa incisività e una eccessiva sudditanza ai doveri di alleanza verso il governo Monti. Quanta ipocrisia nei commentatori di casa nostra, ancora una volta tutti pronti a saltare sul carro del vincitore del momento, fosse anche solo un comico esaltato da un improvviso picco di notorietà.

E la solidarietà, che brutta bestemmia. Un tempo sinonimo di diritto e oggi, ormai del tutto avvelenata dall’esuberanza penosa del miserabile mitomane di Arcore e della sua claque patetica e arrogante, percepita come elemosina ai pezzenti, beneficienza da questua domenicale.  Non abbiamo certo dimenticato gli ignobili siparietti di Berlusconi che tronfio esibisce in televisione la sua bontà imbevuta di assegni a nove zeri in favore del Don Gelmini di turno o che urla ai quattro venti la penosa (oltre che mai avvenuta) adozione della famiglia di disperati albanesi appena scesi da un gommone a Bari. Ridevamo delle boutades di quel cialtrone, e invece in quei passaggi televisivi si celebrava la fine del welfare state di casa nostra, la fine di conquiste sociali pagate con il prezzo di migliaia e migliaia di morti. Aprile 2013, Civitanova Marche, altri morti.

La nostra speranza appesa ormai solamente all’unico gesto d’amore autentico in questa brutta storia, Giuseppe che si butta nel mare per troppo dolore. Per un istante, il riscatto dell’uomo su così tanta disumanità. Dobbiamo molto a Giuseppe, tutti quanti.

Tagli dappertutto. Tagli da tutte le parti. Risanamento, aziendalizzazione, riformulazione, rimodulazione: una ridda di vocaboli in maschera per occultare l’unico dato reale: che il nostro welfare sta andando a puttane.  E se non bastasse, ancora tutti costretti a sorbirci la filastrocca ormai insopportabile che i fondi per il riequilibrio del sistema socio-sanitario vanno cercati al suo interno (che ne so: meno ospedali e più servizi ai minori oppure meno ambulatori e più “una tantum” agli anziani, la solita guerra tra sfighe e sfigati) e non negli sprechi abominevoli all’esterno (opere faraoniche senza senso, corse agli armamenti che non meriterebbero neppure una striscia di Sturmtruppen).

Basta. Basta. Basta.

E diciamocelo infine cosa avrebbero trovato Annamaria e Romeo se si fossero rivolti ai Servizi Sociali. Quasi sicuramente una spaventata Assistente Sociale fuori sede, contratto trimestrale, chiusa nel suo piccolo ufficio il più delle volte nello scantinato del palazzo comunale, e una sfilza di “Non ci sono più soldi, provate a chiedere alla Caritas. Ci potrebbe essere l’opportunità di una Borsa Lavoro, 2,70 euro all’ora, ma mi sa che siete un po’ in là con gli anni” o in alternativa “ma non avete qualcuno in famiglia che vi possa aiutare?”

Rivolgersi ai Servizi Sociali era la loro vergogna, la nostra, se l’avessero fatto, sarebbe stata quella di non avere più nulla o quasi, da offrire loro.

 

*degli “Educatori contro i tagli”

 

domenica 31 marzo 2013

RIPRENDIAMO ARTICOLO DA REDATTORESOCIALE SULLA NOSTRA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE:


Educatori contro i tagli, in 200 senza stipendio da giugno a settembre


A Bologna parte la campagna degli operatori sociali che lavorano nella scuola: ''Abbiamo contratti da 12 mesi ma da giugno a settembre, con la chiusura delle aule, non siamo pagati e non abbiamo diritto alla disoccupazione"

BOLOGNA - Gli “educatori contro i tagli” di Bologna e provincia lanciano una mobilitazione per denunciare il non pagamento di molti operatori sociali durante l'estate. Colpa dei contratti che durano sì un anno intero, ma che non prevedono il pagamento delle ferie. A Bologna è successo la scorsa estate ai lavoratori che garantivano il sostegno scolastico agli alunni certificati. Trecento persone sono rimaste senza stipendio dall'inizio di giugno a metà settembre e non hanno potuto nemmeno ottenere l'indennità di disoccupazione. Ora la situazione potrebbe ripetersi, e un gruppo di educatori ha lanciato la campagna di mobilitazione "Quest'estate resteremo in mutande". Sotto lo slogan la foto di quattro uomini, in boxer e con le facce coperte dal simbolo di un panda arrabbiato. Un modo originale per lanciare una protesta. "I bisogni educativi e socio-sanitari si sciolgono con il caldo e l'educatore è di conseguenza inutile", si legge sul volantino di lancio dell'iniziativa. E ancora: "Contratti su 12 mesi ma lavoro su 9 mesi". Nelle prossime settimane il gruppo di educatori lancerà un incontro pubblico per informare la cittadinanza sul problema.

“Quest'anno le cose miglioreranno, ma non basta – spiega Fabio Perretta di Usb –. L'ultimo bando del Comune di Bologna ha assicurato continuità lavorativa anche in estate agli educatori già impiegati durante l'anno scolastico con i bambini con handicap. Ma si fa riferimento solo ai bambini da 6 agli 11 anni. Tra gli altri resteranno scoperti gli operatori che assicurano il pre e il post scuola”. Secondo la Fp-Cgil saranno complessivamente tra i 100 e i 200 i lavoratori che rimarranno senza stipendio tra giugno e settembre. “Tra questi - spiega Anna Maria Margutti della Fp-Cgil - ci sono anche persone che lavorano per delle polisportive vincitrici di appalti nel settore scolastico. Mesi fa abbiamo segnalato il problema all'Inps e attualmente sono in corso dei controlli”. La notizia è confermata da Usb e anche dal dirigente scolastico dell'istituto comprensivo 12 di Bologna. “Dal Comune tramite il quartiere ci è stato affidato un budget annuale di 37mila euro per i servizi di pre e post scuola, in tutto parliamo di sette lavoratori coinvolti – racconta Filomena Massaro - . Quando abbiamo messo a bando il servizio si è presentata solo la polisportiva Energym, adesso che ci sono i controlli la paura è che il prossimo bando andrà deserto, e i servizi di pre e post scuola non potranno più essere garantiti a nessuno”. Gli educatori che lavorano per Energym dichiarano di essere stati contrattualizzati come “educatori sportivi”, spiegano di non avere diritto alla retribuzione dei periodi di malattia e delle ferie, “ma ci chiedono comunque di consegnare i certificati di malattia se abbiamo problemi di salute”. Per il momento Energym rifiuta di rilasciare dichiarazioni in merito. “Che ci siano delle situazione irregolari o al limite dell'accettabile è sotto gli occhi di tutti, da tempo abbiamo una trattativa aperta col Comune di Bologna, chiediamo almeno il rispetto dei contratti nazionali, cosa che al momento non avviene – continua Margutti della Cgil –. Da parte nostra continueremo a denunciare situazione di irregolarità, come l'utilizzo di voucher o forme similari per pagare i lavoratori. Per quanto riguarda i servizi educativi a Casalecchio siamo riusciti a raggiungere un accordo complessivo, bisognerebbe riuscirci anche a Bologna, possibilmente entro il 2013. Si tratta solo di volontà politica”.

 

G. Stinco

 

 

giovedì 28 marzo 2013

POSTIAMO ARTICOLO, NOI E LUI (Beppe Grillo, che fare?):


NOI E LUI  (Beppe Grillo, che fare?) 

di Paolo Coceancig*

Dunque, Grillo e il grillismo. Bisognerà pur che ci si faccia i conti, tutti, anche noi lavoratori del sociale. Non c’è dubbio che antropologicamente il fenomeno sia in perfetta continuità con l’involuzione del sistema politico cui il berlusconismo (che nasce ben prima del Berlusconi governante) negli anni ottanta  diede un’accelerazione spaventosa. Da un punto di vista dell’organizzazione politico-istituzionale siamo ancora dalle parti dell’ultraevoluzionista Herbert Spencer: in sostanza un gruppo sopravvive solamente grazie all’idea della minaccia esterna costante (per Berlusconi i magistrati e i comunisti, per Grillo il resto del mondo). E’ questo l’assioma che spinge il M5S, a maggior ragione in quanto strutturato solamente nello spazio virtuale e parziale di un blog, a dotarsi di una guida autoritaria e decisamente centralizzata.  La conseguenza è il rifiuto a priori di ogni confronto, non solo con gli organismi politico-sociali tradizionali (partiti e sindacati), ma anche con qualsiasi altra realtà culturale e di lotta con cui, a partire dai contenuti, potrebbe trovare tranquillamente delle convergenze. Ma, tralasciando il fatto che contrapporre una società civile onesta pulita a una classe politica corrotta e priva di valori (che in realtà altro non è che la sua perfetta rappresentazione) prima ancora che superficiale, è semplicemente ridicolo, da dove arriva tutta questa idiosincrasia per tutto ciò che si muove (si muove) al di fuori del verbo grillino? Questa chiusura totale per ogni ipotesi di contaminazione, questa ininterrotta esibizione di manicheismo? Mi verrebbe da pensare, estremizzando la riflessione manifestata dai Wu Ming in alcune recenti e condivisibili incursioni sui media nazionali e internazionali, che il Grillo politico sia nato a Genova in quel maledetto Luglio del 2001, negli stessi giorni in cui moriva il Movimento dei movimenti. Attenzione, moriva lasciando in vita tutte, ma proprio tutte, le ragioni per cui era sbocciato. E Grillo, anticipando tutti i tentativi di riorganizzazione dall’interno di quelle esperienze, con abilità le ha fatte sue raccogliendole ad una ad una, attraversando con le sue urla e i suoi vaffa il primo decennio del nuovo millennio. I Wu Ming vanno oltre, sostenendo che il grillismo, dopo essere nato sulla scia della fine di quei movimenti, oggi ne sia esso stesso concausa per via della sistematica “cattura” delle istanze delle lotte territoriali, soprattutto di quelle più “fotogeniche”. Difficile non essere d’accordo. Soprattutto di fronte ad un movimento che alla prova del successo (lo sfondamento elettorale) e dunque del passaggio dalla protesta alla proposta, comincia a denunciare tutti i suoi limiti in termini di incisività sociale.  Anche a Parma pare che non se la passino benissimo. Ora, mettiamo pure da parte la biografia ultraliberista del santone Casaleggio, la provocazione qualunquista di chi è pronto ad accettare membri di Casa Pound all’interno del movimento, l’imbarazzante e soporifero dilettantismo dei due portavoce parlamentari e alcuni insulsi richiami sul web stile Aldo Forbice (quello che proponeva nel suo programma radio appelli del tipo “siete contro la violenza sui bambini?”, firmerebbero senza alcuna difficoltà  anche Storace e Jack lo squartatore), ma qui si avverte pochezza di idee o peggio, superficialità d’approccio. Tante invocazioni estemporanee e poca progettualità.

I contenuti però ci sarebbero, eccome. Con onestà intellettuale dobbiamo riconoscere che è stato il loro successo elettorale a riportare certi temi a noi così cari (fine delle grandi opere inutili, abbattimento delle spese militari, sussidio di disoccupazione, scuola e sanità pubbliche) al centro del dibattito politico. In un certo senso Grillo ce li ha scippati e noi, per rispondere alla solita, cara, antica domanda, che fare?, dobbiamo ora sudare le proverbiali sette camicie per riprenderceli, ma non abbiamo scelta: per evitare pericolose derive autoritarie del popolo dei mouse, dobbiamo farlo. Dobbiamo riportarli a casa quei contenuti, dentro i loro spazi naturali, che sono quelli della sinistra tout court, senza se e senza ma. Anche Nichi Vendola, che pure l’occasione di porsi alla guida di tutta l’opposizione sociale che è esplosa nel paese ai tempi dell’insediamento del governo Monti l’aveva avuta e la cosa avrebbe probabilmente arginato non di poco il dilagare del M5S, perso quel treno oggi si trova in una terra di mezzo nella quale gli riesce difficile un agire politico libero da condizionamenti istituzionali. Consola il fatto che non dovrebbe essere impossibile aprire delle crepe dentro l’apparente monolitismo del M5S quando si arriverà al dunque, alle decisioni da prendere, alle scelte irreversibili di campo.  Grillo sa bene  che affrontare alcuni temi sensibili per la base eterogenea del suo movimento (l’impressione è che in quel calderone ci sia un po’di tutto: dalla rustica e volgare grossolanità dei leghisti della prima ora a certo antagonismo movimentista dell’ultimo decennio)  potrebbe essere fatale. Non vorrei peccare in eccesso di ottimismo, ma ho la convinzione che alla fine i tanti amici e compagni che hanno scelto di militare nel M5S con l’intento nobile di “far saltare il vecchio sistema”, si stancheranno di accontentarsi della ripetuta messa in scena in diretta streaming della caricatura della democrazia diffusa, di rimanere ostaggi dell’assemblearismo persistente di facciata. Noi intanto dobbiamo rimanere dentro ogni spazio, e se ne stanno aprendo parecchi, di conflitto e di proposta agita sul territorio. E’ lì che troveremo i nostri nuovi compagni di strada, è lì che ritroveremo chi al momento ha scelto (legittimamente, s’intende) la scorciatoia della lagnanza scombinata del provetto guastatore da superblog.

E infine, veniamo a noi. Noi lavoratori del sociale intendo. Ho cercato di capire in tutti i modi quale fosse il progetto di welfare che il M5S ha in mente per il futuro del paese, ma non sono riuscito a trovare nulla che andasse un po’ più in là di alcune generiche e ovviamente condivisibili affermazioni di principio. Il collega padovano Giovanni Endrizzi, neosenatore (a proposito, salutiamo con favore un educatore professionale a Palazzo Madama), fa sapere che il programma per il welfare, come per tutto il resto, nascerà dal confronto con i cittadini tramite il web come fatto finora. Non mi basta, non ci basta. Sinceramente ci stanno un po’ annoiando le rivoluzioni fatte con il mouse.

 

*degli “Educatori contri i Tagli”.

 

 

 

 

 

 

mercoledì 13 marzo 2013

RIPRENDIAMO ARTICOLO DA REPUBBLICA.IT:

Verso il referendum a nervi tesi.
Merola: "Delirio, ci costa troppo"


Il sindaco rompe il silenzio sulla consultazione e incassa il plauso del Pdl. Sel s'infuria e chiede rispetto per i cittadini. Si divide anche la Cgil

DI SILVIA BIGNAMI e BEPPE PERSICHELLA


Il referendum contro il finanziamento delle materne cattoliche manda in crisi il centrosinistra. Gli alleati Pd e Sel litigano, la Cgil si spacca. Il Pdl su questo punto appoggia la giunta che difende il sistema in convenzione con le paritarie, adottato dal ’94. Il sindaco Virginio Merola, definisce «un delirio» spendere 500mila euro per una consultazione che ruota attorno al milione di euro per le scuole paritarie. Si arrabbiano i vendoliani, che dopo una giornata di bordate sbottano e firmano una nota contro Merola, Pd e Camera del Lavoro. Con chiosa del consigliere Sel Lorenzo Cipriani su Facebook: «Aveva ragione Cofferati a parlare di una città consociativa».

Una guerra aperta sulla quale si rischia lo strappo a sinistra. Con la battaglia lanciata dall’associazione Articolo 33 per bloccare il finanziamento alle private che garantisce un posto a 1700 bambini “convenzionati”. Di questo si preoccupa il sindaco Merola, che ribadisce la parola d’ordine della giunta: «Non uno di meno». E aggiunge: «La mia posizione è nota ed è bene tutti i cittadini sappiano, che siano informati. Noi ci occupiamo di tutti i bambini, che vadano alle comunali, alle statali o alle private. E lavoriamo prima di tutto sulle liste d’attesa». Parole che segnano e rafforzano l’asse Pd-Pdl sul tema dei fondi alle materne. Unica ad esultare alle parole del sindaco è la berlusconiana Valentina Castaldini, che rilancia con una proposta provocazione: «Facciamo il referendum negli uffici comunali, invece che nelle scuole. Sarebbe folle chiuderle ancora, le penalizzeremmo ulteriormente. Già questa consultazione ci costa 500mila euro, la metà di quanto ci costa il finanziamento contestato...».

Il rischio che la difesa delle scuole paritarie avvicini “troppo” il Pd al Pdl è tuttavia proprio alla base delle timidezze dei Democratici. Per questo via Rivani prova a non prendere troppo “di punta” il referendum, sostenuto dagli alleati di Sel e dal Movimento 5 Stelle. Partito il tour nei quartieri dell’assessore alla scuola Marilena Pillati, ieri sera anche il segretario Pd Raffaele Donini ha annunciato l’avvio di stati generali Democratici sulla scuola, ad aprile, per informare i cittadini sulle conseguenze dello stop ai fondi alle private, e ha lanciato una petizione per chiedere più sezioni statali (oggi ferme al 17%) sotto le Torri. A mediare interviene pure il capogruppo Pd in Regione Marco Monari: «Chi decide è il sindaco. Lui è stato votato ed eletto col suo programma, che prevedeva un sistema integrato pubblicoprivato — spiega Monari —. Quindi invece che dividerci tra Coppi e Bartali, proviamo a guardare oltre la punta dell’iceberg della legittima proposta di Articolo 33». Come dire: a prescindere dal risultato della consultazione, deciderà il Merola.

Si spacca, sul tema del referendum, anche la Camera del Lavoro. «Non prendiamo posizione. Il referendum è un importante strumento democratico ma non è sufficiente a risolvere una questione così seria» ha detto ieri il segretario Danilo Gruppi. Nessuna indicazione di voto quindi da parte della Cgil, anche se pezzi significativi della Camera del Lavoro sostengono già apertamente il referendum, dalla Fiom all’area programmatica “La Cgil che vogliamo”. Gruppi sdrammatizza — «anche noi siamo attraversati da opinioni diverse e articolate» — ma boccia l’eccesso di contrapposizione ideologica: «Non serve l’ennesima guerra di religione. Il vero scandalo sono le poche sezioni statali presenti a Bologna, ma la città, invece che indignarsi, mette in scena il solito teatrino».

Tutte “timidezze” che ieri sera hanno convinto i vendoliani a un duro comunicato che prende di mira tutti e che chiede «maggiore rispetto per lo statuto comunale e per l'istituto del referendum. Aprire poi nuovamente il dibattito sui costi connessi alla partecipazione democratica dei cittadini sarebbe anacronistico. Sottovalutare la consultazione sarebbe non una perdita di soldi, ma di idee».

(13 marzo 2013)

giovedì 7 marzo 2013

La demolizione del Welfare, l'ombelico di Grillo e le nuove sfide dei movimenti sociali

La demolizione del Welfare, l'ombelico di Grillo e le nuove sfide dei movimenti sociali

La situazione del welfare nel nostro paese la conosciamo, è purtroppo ormai nota e drammatica. I tagli ai fondi, destinati alle non autosufficienze ed alle marginalità sociali, si sono riversati a pioggia ovunque, colpendo i bisogni degli utenti e la condizione lavorativa degli operatori del settore.
I primi hanno visto non garantite le cure e l'assistenza minima, (il caso dei tagli, per fortuna in parte rientrati ai malati di Sla, è stata solo la punta drammatica di questo iceberg), mentre i secondi, gli operatori, attraversano condizioni lavorative sempre più precarie, ricattabili, intermittenti, quando non sono semplicemente in esubero.
Il successo di Grillo affonda anche in questa drammatica rottura del patto sociale. L'attacco di Grillo alla politica ed ai sindacati parla anche di questo. Un esempio emblematico è la regione Emilia Romagna, un tempo regione ricca, con sistemi di welfare avanzati. Uno degli ingredienti che ha contribuito all'ottimizzazione del sistema welfare emiliano è stato un processo di esternalizzazione di parti di gestione, sempre più cospicue, dei servizi, verso le cooperative sociali.
Alcune di queste hanno fatto la parte da leone in questo processo e sono diventate per numero di lavoratori, utili e influenza politica delle vere e proprie multinazionali bianche o rosse. Il processo di esternalizzazione ha permesso un "toyotismo sociale" che ha prodotto forme di sperimentazione e di intreccio pubblico-privato.
Ciò spesso è stato fatto a danno dei lavoratori, che nel privato sociale hanno sicuramente buste paga più leggere, ma anche diritti meno certi e di volta in volta da mediare con la cooperativa stessa, con le indicazioni della committenza e altre infinite variabili. Tutto ciò è avvenuto con il beneplacito della politica, che scarica alle cooperative la gestione del lavoro e nel silenzio del sindacato. Uso il singolare perché in Emilia Romagna la Cgil è il sindacato con il maggior peso e la maggior influenza.
I numeri con cui Grillo si è affermato anche in Emilia Romagna, erodendo voti anche al Pd nell'ordine delle decine di migliaia, parlano chiaro. L'affermazione del M5S in regione può essere un elemento di rottura di questo ordine degli equilibri di potere.
E ora? In parlamento in questo momento i grillini hanno il boccino in mano. Mai come ora ciò può dare vita a dinamiche di trasformazione (o al loro contrario se ciò non avvenisse). La situazione sembra che di colpo si possa muovere veloce e ciò è sicuramente un bene. I grillini eletti possono decidere se obbedire al duo Grillo/Casaleggio, difendere la loro purezza e non porsi il problema della politica, che è anche governo, se si vuole trasformare l'esistente.
Altrimenti i loro elettori per cosa li hanno votati? Molti punti del programma, con cui i candidati del M5S sono stati eletti, sono condivisibili se e solo se trovano la strada per essere tradotti in pratica politica. Altrimenti, ai tatticismi e alle ideologie dei vecchi partiti e partitini di sinistra, si aggiungeranno i nuovi arrivati grillini.
Il ruolo dei movimenti sociali, in questo periodo non può limitarsi a quello degli osservatori da tribuna, tifando o maledicendo quello che avviene in Parlamento e nelle altre istituzioni. Dopo più di un anno di stagnazione è tempo di ripartire. A memoria, l'ultima grande manifestazione senza partiti in Italia è stata quella del 15 ottobre 2011, quando centinaia di migliaia di persone che già stavano pagando la crisi, chiedevano la destituzione di Berlusconi e ponevano il tema della ricerca urgente di un'alternativa politica, sociale e di sistema, parlando di difesa della scuola pubblica, della sanità, del welfare, dei beni comuni, di riduzione delle spese belliche.
E' ora che i movimenti sociali riprendano il cammino, sperimentino e costruiscano istituzioni autonome pressando quelle esistenti. Come sempre chi siede in Parlamento potrà essere un interlocutore o un avversario.

sabato 23 febbraio 2013

PUBBLICHIAMO LETTERA DEGLI EDUCATORI UNITI CONTRO I TAGLI SULLE ORE PERSE NEI GIORNI DI CHIUSURA DELLE SCUOLE PER LE ELEZIONI:

Oggetto: chiusura scuole in occasione elezioni politiche nazionali 24-25 febbraio 2013.

In occasione delle elezioni politiche nazionali del 24-25 febbraio 2013, numerose scuole della Provincia bolognese saranno chiuse con differenti modalità, nei giorni prima e dopo la consultazione elettorale.
Il Coordinamento Educatori Uniti contro i Tagli vuole urgentemente segnalare e porre all'attenzione della cittadinanza un grave problema.
Educatrici ed educatori, lavoratori di cooperative sociali impegnati nei servizi di sostegno scolastico, si troveranno, in occasione della suddetta chiusura di numerose scuole, a perdere ore lavorative, che non verranno retribuite né sarà possibile recuperare.

Abbiamo tre questioni che poniamo alla Vostra attenzione:
  • in una situazione storica , in cui le ore di assistenza e sostegno alle famiglie sono ridotte al minimo, la perdita ulteriore di alcune di queste ore risulterebbe un danno aggiuntivo alle famiglie stesse;
  • se e come intendete procedere nel momento in cui per l’ennesima volta vengono penalizzati lavoratrici e lavoratori che già risultano sottopagati e operano in condizioni di lavoro precarie;
  • perché tali ore che sono messe a inizio anno scolastico a budget dagli enti non possono essere recuperate e/o retribuite?

In attesa di un riscontro, risolutivo di tali condizioni,


Educatori Uniti contro i Tagli