NOI E
LUI (Beppe Grillo, che fare?)
di Paolo Coceancig*
Dunque, Grillo e il
grillismo. Bisognerà pur che ci si faccia i conti, tutti, anche noi lavoratori
del sociale. Non c’è dubbio che antropologicamente il fenomeno sia in perfetta
continuità con l’involuzione del sistema politico cui il berlusconismo (che
nasce ben prima del Berlusconi governante) negli anni ottanta diede un’accelerazione spaventosa. Da un punto
di vista dell’organizzazione politico-istituzionale siamo ancora dalle parti
dell’ultraevoluzionista Herbert Spencer: in sostanza un gruppo sopravvive solamente
grazie all’idea della minaccia esterna costante (per Berlusconi i magistrati e
i comunisti, per Grillo il resto del mondo). E’ questo l’assioma che spinge il
M5S, a maggior ragione in quanto strutturato solamente nello spazio virtuale e
parziale di un blog, a dotarsi di una guida autoritaria e decisamente centralizzata. La conseguenza è il rifiuto a priori di ogni
confronto, non solo con gli organismi politico-sociali tradizionali (partiti e
sindacati), ma anche con qualsiasi altra realtà culturale e di lotta con cui, a
partire dai contenuti, potrebbe trovare tranquillamente delle convergenze. Ma, tralasciando
il fatto che contrapporre
una società civile onesta pulita a una classe politica corrotta e priva di
valori (che in realtà altro non è che la sua perfetta rappresentazione) prima
ancora che superficiale, è semplicemente ridicolo, da dove arriva tutta questa
idiosincrasia per tutto ciò che si muove (si muove) al di fuori del verbo grillino?
Questa chiusura totale per ogni ipotesi di contaminazione, questa ininterrotta
esibizione di manicheismo? Mi verrebbe da pensare, estremizzando la riflessione
manifestata dai Wu Ming in alcune recenti e condivisibili incursioni sui media
nazionali e internazionali, che il Grillo politico sia nato a Genova in quel
maledetto Luglio del 2001, negli stessi giorni in cui moriva il Movimento dei
movimenti. Attenzione, moriva lasciando in vita tutte, ma proprio tutte, le ragioni
per cui era sbocciato. E Grillo, anticipando tutti i tentativi di
riorganizzazione dall’interno di quelle esperienze, con abilità le ha fatte sue
raccogliendole ad una ad una, attraversando con le sue urla e i suoi vaffa il
primo decennio del nuovo millennio. I Wu Ming vanno oltre, sostenendo che il
grillismo, dopo essere nato sulla scia della fine di quei movimenti, oggi ne sia
esso stesso concausa
per
via della sistematica “cattura” delle istanze delle lotte territoriali,
soprattutto di quelle più “fotogeniche”.
Difficile non essere d’accordo. Soprattutto di fronte ad un movimento che alla
prova del successo (lo sfondamento elettorale) e dunque del passaggio dalla
protesta alla proposta, comincia a denunciare tutti i suoi limiti in termini di
incisività sociale. Anche a Parma pare
che non se la passino benissimo. Ora, mettiamo pure da parte la biografia ultraliberista del santone Casaleggio, la
provocazione qualunquista di chi è pronto ad accettare membri di Casa Pound all’interno
del movimento, l’imbarazzante e soporifero dilettantismo dei due portavoce
parlamentari e alcuni insulsi richiami sul web stile Aldo Forbice (quello che
proponeva nel suo programma radio appelli del tipo “siete contro la violenza sui
bambini?”, firmerebbero senza alcuna difficoltà
anche Storace e Jack lo squartatore), ma qui si avverte pochezza di idee
o peggio, superficialità d’approccio. Tante invocazioni estemporanee e poca
progettualità.
I contenuti però ci sarebbero, eccome. Con onestà
intellettuale dobbiamo riconoscere che è stato il loro successo elettorale a
riportare certi temi a noi così cari (fine delle grandi opere inutili,
abbattimento delle spese militari, sussidio di disoccupazione, scuola e sanità
pubbliche) al centro del dibattito politico. In un certo senso Grillo ce li ha
scippati e noi, per rispondere alla solita, cara, antica domanda, che fare?, dobbiamo ora sudare le
proverbiali sette camicie per riprenderceli, ma non abbiamo scelta: per evitare
pericolose derive autoritarie del popolo dei mouse, dobbiamo farlo. Dobbiamo
riportarli a casa quei contenuti, dentro i loro spazi naturali, che sono quelli
della sinistra tout court, senza se e
senza ma. Anche Nichi Vendola, che pure l’occasione di porsi alla guida di
tutta l’opposizione sociale che è esplosa nel paese ai tempi dell’insediamento
del governo Monti l’aveva avuta e la cosa avrebbe probabilmente arginato non di
poco il dilagare del M5S, perso quel treno oggi si trova in una terra di mezzo
nella quale gli riesce difficile un agire politico libero da condizionamenti
istituzionali. Consola il fatto che non dovrebbe essere impossibile aprire delle
crepe dentro l’apparente monolitismo del M5S quando si arriverà al dunque, alle
decisioni da prendere, alle scelte irreversibili di campo. Grillo sa bene che affrontare alcuni temi sensibili per la
base eterogenea del suo movimento (l’impressione è che in quel calderone ci sia
un po’di tutto: dalla rustica e volgare grossolanità dei leghisti della prima ora
a certo antagonismo movimentista dell’ultimo decennio) potrebbe essere fatale. Non vorrei peccare in
eccesso di ottimismo, ma ho la convinzione che alla fine i tanti amici e
compagni che hanno scelto di militare nel M5S con l’intento nobile di “far
saltare il vecchio sistema”, si stancheranno di accontentarsi della ripetuta
messa in scena in diretta streaming
della caricatura della democrazia diffusa, di rimanere ostaggi dell’assemblearismo
persistente di facciata. Noi intanto dobbiamo
rimanere dentro ogni spazio, e se ne stanno aprendo parecchi, di conflitto e di
proposta agita sul territorio. E’ lì che troveremo i nostri nuovi compagni di
strada, è lì che ritroveremo chi al momento ha scelto (legittimamente, s’intende)
la scorciatoia della lagnanza scombinata del provetto guastatore da superblog.
E infine, veniamo a noi. Noi lavoratori del sociale intendo. Ho cercato di capire in
tutti i modi quale fosse il progetto di welfare
che il M5S ha in mente per il futuro del paese, ma non sono riuscito a trovare nulla
che andasse un po’ più in là di alcune generiche e ovviamente condivisibili
affermazioni di principio. Il collega padovano Giovanni Endrizzi, neosenatore
(a proposito, salutiamo con favore un educatore professionale a Palazzo Madama),
fa sapere che il programma per il welfare, come per tutto il resto, nascerà dal confronto
con i cittadini tramite il web come fatto finora. Non mi basta, non ci basta. Sinceramente
ci stanno un po’ annoiando le rivoluzioni fatte con il mouse.
*degli “Educatori contri i Tagli”.
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