Visualizzazioni totali

sabato 7 marzo 2015

ARTICOLO "LA PRECARIETA' DEGLI EDUCATORI" DA PIAZZA GRANDE DI MARZO.

“Il lavoro dell'educatore è irto di difficoltà, ma è profondamente stimolante: mi mette di fronte a realtà che mi aiutano a conoscermi e a crescere”. A raccontarlo è Martina G., una ragazza di 27 anni che da 10 anni lavora come educatrice a Bologna. A 17 anni Martina è entrata in questo settore lavorando con ANFFAS in un soggiorno estivo per ragazzi disabili. Durante il terzo anno di università – indirizzo: educatore professionale – ha svolto tirocinio presso la cooperativa Rupe nella comunità terapeutica femminile per tossicodipendenti, al termine del quale ha avuto prima un contratto per un periodo di prova, poi diversi contratti a tempo determinato a 38 ore ed infine il tempo indeterminato. “Due anni fa ho iniziato a lavorare, sempre in Rupe, nella comunità educativa per minori, dove lavoro tutt'oggi anche se adesso il mio datore di lavoro è la cooperativa Open Group, nata l'anno scorso dalla fusione di Coopas, Voli e La Rupe”. All'interno della comunità minori Martina si occupa, all'interno di una equipe di educatori, della regia del PEI – progetto educativo individualizzato – di diversi ragazzi. Il suo ruolo consiste nel sostenere i minori nella gestione della loro quotidianità e tenere rapporti con scuola, attività sportive, strutture sanitarie, servizi sociali ed eventuali organi legali. “Il nostro compito è quello di stare accanto ai ragazzi, né davanti né dietro: li accompagniamo e aiutiamo a gestire un pezzo della loro vita”. Sia all'interno della comunità minori che in femminile il lavoro è articolato su turni che devono coprire le 24 ore 7 giorni su 7. “Penso che una delle complessità di questo lavoro sia quella di ricordarsi sempre che non si è onnipotenti, che le persone che cerchiamo di aiutare sono libere di scegliere della loro vita a prescindere dai nostri consigli e che se ciò avviene non è da considerare un fallimento. Anzi, è proprio in questi momenti che bisogna continuare a stare accanto alle persone che seguiamo: dobbiamo sostenerle anche quando cadono e soprattutto essere noi i primi a credere nella possibilità di un loro cambiamento”.

Marco M. - 40 anni – ha invece smesso di lavorare per le cooperative da circa un anno. Con un'esperienza di educatore di quasi 15 anni, Marco ha lasciato due contratti a tempo indeterminato per un tempo determinato aperto dal Comune di Bologna come educatore interno ad una scuola per il centro educativo. “Negli ultimi 10 anni ho cambiato circa 6 o 7 cooperative: mantenevo il mio servizio, ma cambiava la cooperativa che vinceva l'appalto. Perchè ho lasciato due indeterminati? Erano una finta stabilità: lavoravo 9/10 mesi l'anno in contemporanea all'anno scolastico, ma per circa 2 mesi ero senza lavoro e stipendio e non potevo chiedere disoccupazione in quanto titolare di un contratto a tempo indeterminato, inoltre venivo pagato ad ore lavorate e non con un fisso mensile. Insomma ero un precario a tempo indeterminato!”.
Al pomeriggio Marco lavora al centro educativo e segue generalmente tra i 10 e 14 ragazzini delle medie ed elementari. L'attività consiste nel fare i compiti con i ragazzi e nel realizzare attività che abbiano un valore educativo. Tutti i servizi sociali fanno riferimento ai centri educativi per inserire i ragazzini che hanno diverse problematiche familiari affinchè passino ore della giornata in un ambiente protetto, educativo e stimolante. “Mi rendo conto che da un anno a questa parte ho più tempo per svolgere il mio lavoro in maniera completa: quando lavoravo con le cooperative facevo 18 ore a diretto contatto con i ragazzini e solo 2 ore di programmazione e gestione della rete intorno ai minori che seguivo. Adesso invece faccio 20/25 ore a diretto contatto con i ragazzini e 10/12 ore indirette, durante le quali ho tempo di creare una rete relazionale migliore sia con i servizi sociali sia con i genitori”.
Secondo Marco una delle maggiori difficoltà del lavoro di educatore interno alle cooperative è proprio legata ai tempi: “se vuoi fare un buon lavoro il tempo retribuito non basta. Ormai che ha preso piede la logica del dare l'appalto al miglior offerente e non al miglior servizio ci si ritrova purtroppo o a dedicare il proprio tempo libero al lavoro oppure a fare un lavoro incompleto”.



Sarah Murru


mercoledì 4 marzo 2015

ANCONA - REPORT DELL'ASSEMBLEA OPERATORI/TRICI SOCIALI DEL 28 FEBBRAIO 2015

4 / 3 / 2015
Entusiasmante l'assemblea delle operatrici e degli operatori sociali tenutasi sabato 28 febbraio 2015 presso la sala ANPI ad Ancona, entusiasmante perché la sala era piena e i/le partecipanti hanno dato vita a un dibattito franco e sentito, intrecciando tematiche locali e nazionali sulla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori del sociale, a partire dagli interventi della Rete Nazionale Operatori Sociali, di EducAttivi di Rimini, Di Educatori Contro I Tagli di Bologna, di Operatrici e Operatori Sociali di Milano, di Educatori Senza Diritti di Monza e della Rete Operatori/trici Sociali di Ancona. 
La Rete di Ancona ha, poi,  presentato all'assemblea la sua adesione e il suo sostegno alla Campagna "Trasparenza e Diritti".
I/le partecipanti hanno compilato un questionario le cui risposte ci aiuteranno a comprendere meglio cosa succede nel nostro lavoro nel nostro territorio.
Prossimi appuntamenti saranno un'iniziativa pubblica con Fabio Ragaini del Gruppo Solidarietà e della Campagna "Trasparenza e Diritti" per capire cosa cambia per utenti e lavoratori/trici alla luce degli ultimi provvedimenti della Regione Marche riguardanti i servizi socio-sanitari; e la presentazione a maggio del libro "La rivolta del riso. Le frontiere del lavoro nelle imprese sociali tra pratiche di controllo e conflitti biopolitici" edito da Sensibili alle foglie.
Link articolo completo con video degli interventi ed interviste: http://www.globalproject.info/it/in_movimento/ancona-report-dellassemblea-operatoritrici-sociali/18781

lunedì 2 marzo 2015

"Gli educatori di said, cherif, ahmed e omar" di Paolo Coceancig

Gli educatori di said, cherif, ahmed e omar

A proposito di fondamentalismi, periferie e tagli ai servizi


Trascorso un po’ di tempo dagli eventi criminali di Parigi si pensava dovesse cominciare, una volta smaltito lo shock emotivo generale, il tempo del ragionamento e dell’elaborazione dei fatti, ed ecco che da Copenaghen arrivano nuove terribili notizie: un altro vendicatore sanguinario ha trovato il suo posto a buon mercato in paradiso massacrando chiunque gli sia capitato a tiro.
La biografia personale degli attentatori è sempre la stessa: nativi occidentali, figli disconosciuti di quegli enormi parcheggi di disagio esistenziale che sono diventate le nostre vuote periferie, adolescenze irrequiete consacrate al furto e al piccolo spaccio di quartiere, fuori e dentro da riformatori e galere minorili. La costituzione di un’entità statuale come l’Isis, fornendo un approdo ideologico possibile a queste disperazioni, ha aggravato la situazione.
Sia ben chiaro: nessun trauma infantile, nessuna deprivazione o ritratto famigliare disgraziato possono giustificare l’atrocità, la ferocia e il razzismo degli atti efferati di Parigi e Copenaghen.
Tuttavia, al netto di ogni suggestione contestuale, dobbiamo provare a ragionare su ciò che sta succedendo intorno a noi e dobbiamo farlo in fretta. Noi come sempre lo facciamo dal punto di vista di chi fa il nostro lavoro, l’educatore.  Perché è inutile girarci troppo intorno: molti tra quelli che fanno questo mestiere nei servizi per minori, di possibili fratelli Kouachi, Ahmed Koulibaly, Omar Abdel Hamid el Hussein ne hanno conosciuti anche dalle nostre parti.
Allora, oltre che un dovere professionale, diventa una necessità vitale fare i conti con un fenomeno che, se da una parte sottolinea il palese fallimento dei processi di integrazione delle società del nord Europa (e di quella dei ragazzi delle sterminate e abbandonate banlieue francesi in particolare), dall’altra pone degli interrogativi non da poco anche al nostro quotidiano operare forme di mediazione sociale sul territorio italiano. Ricordo ancora il balbettante imbarazzo del collega francese che, intervistato su ciò che avevano combinato quelli che erano stati “i suoi ragazzi” in adolescenza, i due attentatori di Charlie Hebdo, non riusciva a capacitarsi del fatto che dei semplici bulletti di periferia potessero un giorno trasformarsi in micidiali armi di distruzione di massa.
Si, sono tutti uguali questi ragazzotti dell’altro lato della tangenziale, uguali anche ai coetanei italiani che vivono sul pianerottolo di fronte: gli stessi smartphone perennemente tra le mani, gli stessi vestiti rigorosamente griffati, lo stesso linguaggio da rappers consumati. Molti tra di loro balbettano a stento un arabo assimilato ascoltando le imprecazioni del padre operaio o disoccupato che rientra sfinito a casa la sera. Cresciuti nell’indifferenza, se non nel fastidio, verso la cultura originaria dei padri, vissuta come qualcosa di estraneo e imposto nel chiuso dei quaranta metri dell’appartamento, da smollareall’istante non appena fuori, scoprono, una volta adulti, la loro condizione di “differenti”, di discriminati, soprattutto in termini di opportunità che la società ospitante offre loro.
Il fondamentalismo islamico si nutre e si ingrassa, lo spiega molto bene Slavoj Zizek, del complesso d’inferiorità di questi ragazzi che diventano da un giorno all’altro facili prede di invasati predicatori da sottoscala. “Il problema dei fondamentalisti non è che li consideriamo inferiori a noi, ma al contrario che loro stessi si considerano segretamente inferiori. Il problema non è la differenza culturale (il loro sforzo per preservare la propria identità), ma il contrario, il fatto che i fondamentalisti sono già come noi, che segretamente hanno già interiorizzato i nostri parametri e misurano se stessi in base a essi. Il fondamentalismo è una reazione — una reazione falsa e mistificatrice, naturalmente — contro un difetto reale del liberalismo, ed è per questo che il liberalismo lo genera, ripetutamente” ha scritto in seguito ai fatti di Parigi il filosofo sloveno.
L’altro giorno sull’autobus mi è capitato di assistere ad una scena molto significativa in questo senso: tre ragazzi di chiara origine maghrebina “pizzicati” senza biglietto dal controllore. Mentre questi stilava i verbali dell’infrazione, i tre, dall’atteggiamento palesemente spavaldo e irritante, continuavano a picchiettare le dita sui loro costosissimi iphone di ultima generazione come se la cosa non li riguardasse.
Altroché valori universali dell’umanesimo occidentale, noi a questi ragazzi abbiamo trasmesso la vocazione insaziabile al soldo a tutti i costi,  le virtù del consumo permanente, la superiorità insolente che infonde il marchio di Dolce e Gabbana sulla striscia di mutande lasciata bell’apposta in vista dai pantaloni a vita bassa. Le libertà civili e quella d’espressione in particolare che tanto evochiamo, siamo noi europei i primi ad averle dimenticate chissà dove, smettendo da un pezzo di coltivarle nel nostro vivere quotidiano e di difenderle così innanzitutto da noi stessi.  “Io so questo: che chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene” scriveva Pier Paolo Pasolini.Non è l’odio per le libertà quello che principalmente muove la ferocia dei terroristi di casa nostra, bensì l’impossibilità di usufruirne (in termini di accumulo di ricchezza, si intende).
E allora, calandoci nel nostro micro, come rispondere al fenomeno nell’immediato? Semplice, intensificando la presenza di presidi educativi permanenti sui territori più a rischio: le periferie, la provincia.  In parole povere, fare prevenzione.
I centri giovanili, e in particolare quelli socio-educativi rivolti ai minori a maggior rischio di esclusione sociale, offrono le professionalità appropriate, se utilizzate in stretta sinergia con altri progetti educativi più “mobili” sul territorio (penso all’educativa di strada), per attuare quei progetti educativi globali di inclusione volti a ridurre sensibilmente il rischio che il ragazzo si trasformi in un asociale incazzato, in un pericoloso cane sciolto, slegato da ogni vincolo comunitario.
Senza dimenticare che tali presidi, viste le caratteristiche di prossimità col bisogno, di vicinanza al disagio e di conoscenza diretta delle dinamiche del luogo, si prestano per loro natura a svolgere un prezioso lavoro di monitoraggio territoriale.
Dalle nostre parti hanno una lunga tradizione questo tipo di interventi, sono nati in tempi in cui il disagio giovanile faceva i conti con numeri più bassi, non era ancora il fenomeno straripante che vediamo ai giorni nostri. Si tratterebbe dunque di potenziare ciò che abbiamo (avevamo?) già, magari solo ricalibrandone modalità e strumenti per renderli più incisivi nella lotta alle nuove forme di emarginazione sociale.
Tutto così semplice? Non proprio.
Non vanno certo in questa direzione le scelte più recenti in materia di politiche giovanili dei nostri governanti locali. Pensiamo allo svilimento in termini qualitativi e quantitativi di certi servizi storicamente rivolti ai minori in alcune aree della provincia, alla recente assegnazione al ribasso della gara d’appalto dei centro giovanili dei quartieri di Bologna, alla propensione della politica, ormai neppure troppo velata, di affidarsi al volontariato e alle parrocchie per lavorare su un “materiale umano” che richiederebbe al contrario una sempre più elevata formazione e preparazione degli operatori impiegati e che così facendo arriva al paradosso di svilire proprio il senso stesso, nobile e produttivo, che possono avere volontariato e associazionismo laddove non sono usati semplicemente come ammortizzatori di costi, come supplenti di un servizio che ogni minore in difficoltà avrebbe il sacrosanto diritto di ricevere invece dal livello di competenza più alto possibile.
Mi si conceda infine una riflessione, la cui evidenza è tale che quasi imbarazza esternarla: se non si fa prevenzione si deve poi fare repressione.
E riempire un territorio di militari e di forze dell’ordine costa molto di più che non riempirlo di educatori, ma la lungimiranza in politica, si sa, è qualità in disuso, roba sorpassata. I risultati del lavoro che noi svolgiamo non hanno una visibilità immediata e questo, unitamente allo scarso appeal elettorale che di questi tempi ha un certo tipo di utenza, sono elementi che hanno un certo peso nella scelta delle priorità che operano i nostri amministratori. Eppure mai come ora sarebbe vitale che la politica ritornasse ad avere delle idee di cambiamento sociale e che le promuovesse con azioni coraggiose anche se impopolari, che promuovesse finalmente una visione diversa di futuro, alternativa e non rassegnata, che togliesse una volta per tutte dalle mani ciniche e incompetenti dei soliti “guardiani del bilancio” incaricati dal partito la guida di servizi la cui complessità richiederebbe amministratori di ben altro spessore.
Bisognerebbe anche che noi lavoratori del sociale iniziassimo seriamente a dirle queste cose, a difendere con fermezza l’esistenza di questi servizi e con esso un’idea diversa, più solidale e comunitaria, di società. Bisognerebbe proprio che cominciassimo a farlo, almeno noi, prima che sia troppo tardi.

sabato 21 febbraio 2015

"IL RICONOSCIMENTO DELLA PROFESSIONALITA' DELL'EDUCATORE SENZA TITOLO". ASSEMBLEA PUBBLICA LUNEDI' 23 FEBBRAIO ORE 20, BOLOGNA.

Assemblea Pubblica

“Il riconoscimento della professionalità dell'educatore senza titolo”

Quando la nostra Regione avrà finalmente l'obiettivo etico e politico di regolarizzare il lavoro di quanti hanno investito e operato per anni nei servizi rivolti a minori e adulti – che talvolta hanno loro stessi avviato – con impegno e passione, acquisendo professionalità, esperienze sul campo e ore di formazione?
Crediamo che un percorso di regolarizzazione non solo sia possibile, ma sia l’unica opzione valida, l'unica strada da intraprendere. Un percorso di regolarizzazione che legittimi la posizione lavorativa e restituisca dignità agli “educatori senza titolo”, equiparando la loro professionalità a quella di coloro che il titolo lo hanno conseguito.

Lunedì 23 febbraio ore 20
Corte Tre, via Nicolò Dall'Arca 32-34

Assemblea organizzata dagli Educatori Uniti Contro i Tagli
Interverranno rappresentanti sindacali (Cgil, Usb e Cobas), dell’università di Bologna, delle cooperative bolognesi, consiglieri comunali e regionali.

Vi aspettiamo numerosi





martedì 10 febbraio 2015

ASSEMBLEA PUBBLICA "IL RICONOSCIMENTO DELLA PROFESSIONALITA' DELL'EDUCATORE SENZA TITOLO". BOLOGNA 23/02

ASSEMBLEA PUBBLICA "IL RICONOSCIMENTO DELLA PROFESSIONALITA'  DELL'EDUCATORE SENZA TITOLO". LUNEDI' 23 FEBBRAIO ORE 20.



lunedì 9 febbraio 2015

"L'EDUCAZIONE NON SI SVENDE, SI DIFENDE!". SOSTENIAMO LA BATTAGLIA DEI COLLEGHI E DELLE COLLEGHE COINVOLTE NELL'ENNESIMO APPALTO AL RIBASSO A BOLOGNA.

L’EDUCAZIONE NON SI SVENDE, SI DIFENDE!

           
Oggi, noi educatrici e educatori di Bologna prendiamo finalmente la parola.
Il recente episodio dell'assegnazione dei servizi socio-educativi del Comune ha suscitato l’indignazione di stampa, media, sindacati e associazioni. La coop. marchigiana Mosaico vince la gara, grazie a un ribasso economico del 11%. Questa logica del risparmio in tempi di crisi, soprattutto in settori così delicati come quello socio-educativo, ha delle conseguenze devastanti.

            Il taglio, pretendendo di mantenere invariata l'apertura dei servizi, va ad incidere sulle ore di programmazione degli operatori necessarie per riflettere, organizzare, pianificare obiettivi educativi, sviluppare reti nel territorio.
Volete che questi servizi diventino parcheggi-ghetto per bambini e adolescenti, spesso già a rischio di marginalità?

            Sono la nostra competenza e professionalità a sopperire ai colpi accusati dal settore, tenendo insieme i frammenti di un tessuto sociale sempre più disgregato. Da anni continuiamo a subire  riduzioni delle risorse ad ogni nuovo bando.
Lo strumento della gara d'appalto, così pensata, impedisce la continuità dei progetti e la programmazione degli interventi sul medio-lungo periodo.
 Il principio della concorrenza ha come unico obiettivo il taglio delle risorse, senza dare il giusto valore alla qualità del servizio.
Non sarebbe possibile emettere bandi con modalità che prendano in considerazione solo la qualità nella gestione del servizio?
Quali sono le intenzioni del Comune di Bologna nella gestione dei prossimi bandi di gara del sociale?

            Il portale web dell'Emilia Romagna cita: “La Regione riconosce i bambini, gli adolescenti e i giovani come risorsa fondamentale per lo sviluppo della comunità […] titolari e portatori di diritti di personalità e di cittadinanza che devono non solo essergli riconosciuti, ma che necessitano di contesti favorevoli per essere compiutamente attuati.” principi contraddetti dalle politiche sociali in atto.
La crisi sociale, che accompagna e potenzia la crisi economica, assume un carattere dilagante tra le fasce più vulnerabili della popolazione: il disagio, la disoccupazione giovanile, l'abbandono scolastico, la povertà sono in continuo aumento.

La logica del ribasso è dunque  la risposta del Comune?
Chiediamo una Bologna dove le ristrettezze economiche dell’amministrazione non si ripercuotano sistematicamente nel welfare, da sempre fiore all’occhiello del nostro territorio. Chiediamo una Bologna dove sociale significhi prevenzione più che urgenza, perché questa città merita di meglio.


CONTINUEREMO A MOBILITARCI PER DARE VOCE E VISIBILITÀ AL NOSTRO LAVORO E PER GARANTIRE SERVIZI ALL’ALTEZZA DEI BISOGNI DEL NOSTRO TERRITORIO.

            Lavoriamo per sviluppare le capacità di espressione, l'autonomia, il protagonismo di bambini e adolescenti e famiglie. Dobbiamo essere un esempio per loro, essere cittadini attivi e pretendere qualità.

            In virtù di tutto ciò oggi lanciamo un'assemblea cittadina permanente, estesa a tutti gli operatori socio-educativi del territorio, che lavorano in moltissimi contesti: scolastico, educativa domiciliare e di strada, comunità, diversamente abili, centri d’aggregazione, centri giovanili, cura della persona, ecc… e che vivono le nostre stesse condizioni di precarietà.



Gli educatori e le educatrici di Bologna

Link audio per approfondimento tema: https://soundcloud.com/radiokairos/signore-e-signori-il-welfare-e-sparito-03022015 



mercoledì 28 gennaio 2015

"MORTE DELLA COOPERAZIONE A BOLOGNA!"

Il Comune di Bologna ha annunciato da qualche giorno il vincitore del seguente bando dal titolo:
“GESTIONE DI INTERVENTI SOCIO-EDUCATIVI A FAVORE DI BAMBINI, PREADOLESCENTI E ADOLESCENTI NEI QUARTIERI NAVILE, SAN DONATO, SAN VITALE, PORTO, SARAGOZZA E SAVENA PER IL PERIODO FEBBRAIO 2015 - AGOSTO 2016”.
Questo è stato il primo bando proposto dal Comune di Bologna, a base europea e quindi aperto a tutti. Prima d’ora i bandi venivano emessi dai singoli quartieri, in cui lavoravano diverse cooperative. Per partecipare a questo bando si è creato un ATI (Associazione Temporanea d'Impresa) formato dalle cooperative che già gestivano i progetti: Dolce, Arci, OpenGroup (Voli, Coopas, La Rupe, Radio Città del Capo), Il Pettirosso, Csapsa e La Carovana. 
L'ATI in questione ha perso, pur presentando un ribasso economico del 6%, e ha vinto invece una piccola cooperativa di Fabriano, un paese in provincia di Ancona, che ha proposto un ribasso di quasi il doppio (11%), per compensare a un punteggio inferiore nella valutazione di qualità. Quindi dal primo febbraio tale cooperativa marchigiana verrà a gestire i servizi socio educativi del tempo di Bologna (centri socio-educativi, centri giovanili, educative di strada).
Rimane probabile che i lavoratori che fino ad oggi hanno lavorato in questi servizi vengano assunti dalla vincitrice, ma certo per ora non si sa a quali condizioni, visto il taglio cospicuo. A parte il dover rispettare una legge che obbliga alla continuità del posto di lavoro di almeno l'80% dei lavoratori già presenti sui servizi, il Mosaico non possiede chiaramente alcuna conoscenza del territorio, delle istituzioni, degli enti presenti e della rete creata negli anni.

Molte cooperative dell’ATI sembrano intenzionate a fare un ricorso e provare così ad annullare l'aggiudicazione di un bando di gara che proprio non convince.
Ma a dire il vero, il sistema è malato da anni. Si assiste ormai da tempo, anno per anno, semestre per semestre, a piccoli tagli ai fondi destinati al welfare. Ritagli quasi mai di entità importante, in modo da non creare scalpore, ma lievi “aggiustamenti”, fatti in nome di un momento storico di crisi economica e di un risanamento degli sprechi delle precedenti giunte. Tagli che, sommati insieme, hanno portato alla situazione drammatica dei servizi alla persona a cui assistiamo oggi.
Non c'è spazio per il ricorso, perché la cooperativa Mosaico ha semplicemente presentato una proposta di spesa abbondantemente più bassa, in una gara d’appalto in cui l’elemento al quale veniva dato maggior peso non era la qualità del servizio, ma il ribasso economico. Il problema era nel bando stesso e nel sistema politico-sociale che lo ha generato.
Coloro che ne pagano direttamente le conseguenze, anche in questo caso come sempre, sono i cittadini, ovvero tutti coloro che usufruiscono dei servizi, e gli operatori sociali. Nessuno infatti ha informato la cittadinanza e i lavoratori di ciò che stava e sta accadendo, né tantomeno del ribasso dei costi di spesa presentati, 6% per l’ATi bolognese e 11% per la cooperativa di Fabriano.
Ancora una volta gli operatori si trovano a vivere sulla loro pelle, pagandone a proprio prezzo le conseguenze, le scelte inaccettabili e scellerate delle istituzioni, delle municipalità e di tutti gli altri enti che dovrebbero usufruire della loro professionalità e offrire loro un lavoro e non una nuova sorta di schiavitù retribuita. Ancora una volta i cittadini, gli utenti dei servizi, le famiglie – sulla cui necessità di valorizzazione e difesa tanto si parla senza mai riuscire a prendere una scelta che davvero vada in quella direzione – si ritrovano tra le mani le ceneri di servizi alla persona, che in passato avevano fatto grande il nome di questa città.
I grande sistema cooperativo di Bologna è morto. Tra le mani ci rimane giusto qualche osso spolpato.

Crediamo che contro tutto questo, contro il degrado totale del Welfare, contro l’annullamento di qualsiasi ricerca di qualità, contro la trasformazione dei centri educativi in parcheggi pomeridiani, degli interventi come semplice numero nelle rendicontazioni, contro l’impoverimento totale degli strumenti di lavoro a scuola, abbiamo ancora la possibilità e il dovere di alzare la voce. Quella di noi operatori sociali si unisca a quella di chiunque abbia a cuore il futuro dei servizi alla persona, della società intera e il proprio futuro e quello dei propri figli.

Educatori Uniti Contro i Tagli