Dopo il nostro comunicato stampa "SASSO MARCONI: CHIUSURA A SETTEMBRE 2016 DEL PICCOLO GRUPPO servizio educativo rivolto a preadolescenti", ecco la risposta che abbiamo ricevuto da Viviana Tarozzi, responsabile servizi educativi Città di Sasso Marconi:
"Da alcuni anni l'amministrazione comunale di Sasso Marconi sta lavorando in modo nuovo. La ratio anche nel caso del servizio educativo rivolto ai preadolescenti è una sorta di transizione da un modello orientato al contrasto mirato del disagio (innovativo all'epoca dei Piani di Zona del 2003 quando è partito il Piccolo Gruppo) ad un modello che oggi predilige lo sviluppo di condizioni di vita il più possibile inclusive con interventi diversi e trasversali, che comprendono coesione tra generazioni, culture e storie di vita differenti. Negli anni sono cambiate molte cose, sia le risorse disponibili sia le esigenze di prevenzione. Oggi intendiamo coraggiosamente promuovere tutte le forme di inclusione possibile perchè sono quelle che hanno dato i migliori risultati sia quantitativi sia qualitativi."
Questo il nostro commento: belle parole! Ma nel concreto? Come pensate di applicare "tutte le forme di inclusione possibile"? Il "contrato del disagio", come lo chiama lei - ed io utilizzerei davvero un'espressione diversa, meno discriminatoria - non è una diretta mediazione per la troppo citata e poco realizzata inclusione? Dove sono questi risultati, questi progetti? Inutile parlarci di nulla quando c'è di mezzo la vita di minori - minori della sua municipalità, di cui lei è socialmente e civicamente responsabile - vogliamo vedere una progettazione sensata, prima di smantellare servizi ad alta efficacia, che di risultati ne hanno portati di visibili.
"Da alcuni anni l'amministrazione comunale di Sasso Marconi sta lavorando in modo nuovo. La ratio anche nel caso del servizio educativo rivolto ai preadolescenti è una sorta di transizione da un modello orientato al contrasto mirato del disagio (innovativo all'epoca dei Piani di Zona del 2003 quando è partito il Piccolo Gruppo) ad un modello che oggi predilige lo sviluppo di condizioni di vita il più possibile inclusive con interventi diversi e trasversali, che comprendono coesione tra generazioni, culture e storie di vita differenti. Negli anni sono cambiate molte cose, sia le risorse disponibili sia le esigenze di prevenzione. Oggi intendiamo coraggiosamente promuovere tutte le forme di inclusione possibile perchè sono quelle che hanno dato i migliori risultati sia quantitativi sia qualitativi."
Questo il nostro commento: belle parole! Ma nel concreto? Come pensate di applicare "tutte le forme di inclusione possibile"? Il "contrato del disagio", come lo chiama lei - ed io utilizzerei davvero un'espressione diversa, meno discriminatoria - non è una diretta mediazione per la troppo citata e poco realizzata inclusione? Dove sono questi risultati, questi progetti? Inutile parlarci di nulla quando c'è di mezzo la vita di minori - minori della sua municipalità, di cui lei è socialmente e civicamente responsabile - vogliamo vedere una progettazione sensata, prima di smantellare servizi ad alta efficacia, che di risultati ne hanno portati di visibili.
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