In giro, sul web e non, troviamo spesso articoli o commenti che ci portano a ragionare sull’essenza del nostro lavoro, o almeno su quella che noi pensiamo dovrebbe essere.
Si tratta infatti di un lavoro, il nostro, con le persone, spesso in condizioni di fragilità e debolezza, che rendono dunque necessari una serie di strumenti molto complessi da apprendere e da maneggiare, perché riguardano l’essere umano stesso, sia quello nel ruolo – provvisorio – di “supportante”, sia quello nel ruolo di “supportato”. È una professione di attenzione e analisi, un lento lavoro di emozioni e valutazioni costante. È anche, cosa molto importante, un lavoro di parola, in quanto universale e primo tramite di relazione e in quanto strumento di rappresentazione simbolica della nostra posizione rispetto all’altro e rispetto al mondo. Attraverso la parola, infatti, veicoliamo le nostre sensazioni ed emozioni, stabiliamo il punto in cui ci troviamo rispetto alle persone e alle tematiche, che nel nostro caso riguardano l’educazione e la crescita, definiamo un atteggiamento. La parola rappresenta una tendenza, un’indole della persona che la produce.
Ancora una volta ci siamo scontrati contro parole che ci sconcertano. Sono espressioni di rancore, di aggressività e di astio, pronunciate da persone che si proclamano esperte e che si assegnano una posizione di rilievo. Non sono rivolte alla difesa del Welfare e del nostro mondo professionale, contro le spinte forti allo smantellamento e alla mistificazione, ma sono scritte e lanciate all’interno stesso del mondo dell’educazione, contro persone che svolgono il lavoro dell’educatore da tempo (si legge “vadano a fare il loro lavoro”, ma il proprio lavoro non è appunto quello che si sta svolgendo da anni? Lavoro in cui c’è stata assunzione legittima da parte di enti pubblici e privati?). Si parla di abusivismo, si incita alla caccia alle streghe, alla guerra tra poveri, si cerca di aizzare gli educatori gli uni contro gli altri, si spinge alla rabbia, al rancore, allo scontro all’interno di una categoria professionale già fragilissima e quasi evanescente, dove l’unione rappresenterebbe l’unica opportunità di tutela e di spinta verso la legittima e giusta valorizzazione della nostra professionalità. Queste parole, scagliate a caso in momenti di frustrazione e collera nello stesso ambito dell’educazione, definiscono da sole la semantica a cui appartengono, e con essa l’atteggiamento e l’indole.
Noi Educatori Uniti contro i Tagli – e nel nostro nome, a leggerlo bene, è già presente uno degli obiettivi e interessi comuni a tutto il mondo educativo, attorno a cui unirsi e per cui muoversi insieme – crediamo che l’educazione sia qualcosa che dovrebbe riempirsi di parole, e quindi valori, nell’ambito dell’inclusione, dell’accoglienza, dell’accettazione e della crescita individuale e comune e rifiutiamo nettamente i loro opposti, contrari e negativi. Ci chiediamo dunque: hanno davvero un qualche tipo di valore, e quindi diritto di essere, l’aggressività, la collera, l’espulsività e dunque la paura nel mondo dell’educazione? Vanno ascoltati coloro che le esprimono quotidianamente, che ne hanno fatto verbo assoluto e unica modalità comunicativa, magari in una prosastica e venale campagna di associamento e proselitismo? Va dato loro peso? Oppure, laddove rifiutino in più occasioni il dialogo, vanno ignorati, oscurati e isolati?
Sig. Prisciandaro, lei manda con leggerezza migliaia di persona a fare il loro lavoro, che già svolgono positivamente da anni d’altronde. Se questo è il suo di lavoro, ovvero quello di spargere rancore e aggressività, di disunire, di attaccare debolmente e strumentalizzare in nome di una campagna abbonamenti scevra di contenuto, le auguriamo buona fortuna, laddove voglia malauguratamente continuare a perdere il suo tempo in questo modo, noi abbiamo cose più importanti e significative di cui occuparci. Almeno si accorga però, quando pesca a caso da internet e comincia a sentenziare scriteriatamente, che sta parlando di battaglie che hanno già ottenuto risultati e successo.
Visto inoltre il periodo dell’anno e dato che, anche se senza titolo, siamo dotati di grande correttezza e buona educazione, le auguriamo un Buon Natale.
Si tratta infatti di un lavoro, il nostro, con le persone, spesso in condizioni di fragilità e debolezza, che rendono dunque necessari una serie di strumenti molto complessi da apprendere e da maneggiare, perché riguardano l’essere umano stesso, sia quello nel ruolo – provvisorio – di “supportante”, sia quello nel ruolo di “supportato”. È una professione di attenzione e analisi, un lento lavoro di emozioni e valutazioni costante. È anche, cosa molto importante, un lavoro di parola, in quanto universale e primo tramite di relazione e in quanto strumento di rappresentazione simbolica della nostra posizione rispetto all’altro e rispetto al mondo. Attraverso la parola, infatti, veicoliamo le nostre sensazioni ed emozioni, stabiliamo il punto in cui ci troviamo rispetto alle persone e alle tematiche, che nel nostro caso riguardano l’educazione e la crescita, definiamo un atteggiamento. La parola rappresenta una tendenza, un’indole della persona che la produce.
Ancora una volta ci siamo scontrati contro parole che ci sconcertano. Sono espressioni di rancore, di aggressività e di astio, pronunciate da persone che si proclamano esperte e che si assegnano una posizione di rilievo. Non sono rivolte alla difesa del Welfare e del nostro mondo professionale, contro le spinte forti allo smantellamento e alla mistificazione, ma sono scritte e lanciate all’interno stesso del mondo dell’educazione, contro persone che svolgono il lavoro dell’educatore da tempo (si legge “vadano a fare il loro lavoro”, ma il proprio lavoro non è appunto quello che si sta svolgendo da anni? Lavoro in cui c’è stata assunzione legittima da parte di enti pubblici e privati?). Si parla di abusivismo, si incita alla caccia alle streghe, alla guerra tra poveri, si cerca di aizzare gli educatori gli uni contro gli altri, si spinge alla rabbia, al rancore, allo scontro all’interno di una categoria professionale già fragilissima e quasi evanescente, dove l’unione rappresenterebbe l’unica opportunità di tutela e di spinta verso la legittima e giusta valorizzazione della nostra professionalità. Queste parole, scagliate a caso in momenti di frustrazione e collera nello stesso ambito dell’educazione, definiscono da sole la semantica a cui appartengono, e con essa l’atteggiamento e l’indole.
Noi Educatori Uniti contro i Tagli – e nel nostro nome, a leggerlo bene, è già presente uno degli obiettivi e interessi comuni a tutto il mondo educativo, attorno a cui unirsi e per cui muoversi insieme – crediamo che l’educazione sia qualcosa che dovrebbe riempirsi di parole, e quindi valori, nell’ambito dell’inclusione, dell’accoglienza, dell’accettazione e della crescita individuale e comune e rifiutiamo nettamente i loro opposti, contrari e negativi. Ci chiediamo dunque: hanno davvero un qualche tipo di valore, e quindi diritto di essere, l’aggressività, la collera, l’espulsività e dunque la paura nel mondo dell’educazione? Vanno ascoltati coloro che le esprimono quotidianamente, che ne hanno fatto verbo assoluto e unica modalità comunicativa, magari in una prosastica e venale campagna di associamento e proselitismo? Va dato loro peso? Oppure, laddove rifiutino in più occasioni il dialogo, vanno ignorati, oscurati e isolati?
Sig. Prisciandaro, lei manda con leggerezza migliaia di persona a fare il loro lavoro, che già svolgono positivamente da anni d’altronde. Se questo è il suo di lavoro, ovvero quello di spargere rancore e aggressività, di disunire, di attaccare debolmente e strumentalizzare in nome di una campagna abbonamenti scevra di contenuto, le auguriamo buona fortuna, laddove voglia malauguratamente continuare a perdere il suo tempo in questo modo, noi abbiamo cose più importanti e significative di cui occuparci. Almeno si accorga però, quando pesca a caso da internet e comincia a sentenziare scriteriatamente, che sta parlando di battaglie che hanno già ottenuto risultati e successo.
Visto inoltre il periodo dell’anno e dato che, anche se senza titolo, siamo dotati di grande correttezza e buona educazione, le auguriamo un Buon Natale.
Educatori Uniti Contro i Tagli
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