Nei giorni scorsi sulla stampa locale sono apparsi numerosi articoli che hanno fatto esplodere a livello cittadino il “caso Dolce”.
In una assemblea sindacale estremamente partecipata i sindacati e i lavoratori del settore hanno sottolineato come Società Dolce ad oggi non stia applicando il Contratto Nazionale, essendosi rifiutata di erogare la 2° tranche dell’aumento contrattuale nei tempi corretti, ossia con la mensilità di ottobre.
Contestualmente, Società Dolce non ha neppure erogato l’ E.R.T., acronimo per Elemento Retributivo Territoriale, vale a dire il premio di produzione che le Cooperative Sociali della Provincia di Bologna erogano annualmente ai propri dipendenti, che dovrebbe versare -in ritardo- con le prossime mensilità.
Pur rientrando all’interno dei criteri che determinano per una cooperativa la necessità di erogare l’E.R.T., Società Dolce ha dato la disponibilità a liquidare questa cifra ma non nell’anno in corso, facendola “scorrere” sulle prime buste paga del prossimo anno.
Per inciso, in maniera del tutto unilaterale, lo scorso anno Dolce aveva suddiviso l’erogazione dell’E.R.T. in tre parti, versandone ai lavoratori prima ½, poi i successivi 2/4.
Nello stesso tempo, girano voci pericolose secondo le quali si vorrebbe modificare il regolamento interno della Cooperativa, riducendo l’integrazione di maternità e l'integrazione per il lavoro supplementare, mentre per il momento sembra sospeso un attacco ai primi tre giorni di malattia, in maniera analoga o simile a quanto successo con il contratto Aias o con quello appena siglato nel settore metalmeccanico (firmato da tutte le principali organizzazioni con l’eccezione di Fiom- Cgil).
Quello che sta succedendo è gravissimo.
Negli ultimi mesi non solo Società Dolce ha deciso di andare in deroga in maniera unilaterale al CCNL (lo ha fatto nonostante i sindacati si siano dichiarati indisponibili a siglare un’accordo sul tema, anche se il contratto specifica che l’esame dev’essere congiunto, sindacato e parte datoriale), ma anche optato per richiedere ai propri soci lavoratori un’ulteriore aumento della quota sociale.
A fronte di queste scelte, Società Dolce si è sempre rifiutata di certificare un qualsivoglia stato di difficoltà economica.
Cosa succederebbe se tutte le aziende del settore, in presenza di una crisi generalizzata, decidessero unilateralmente di non applicare il contratto nazionale?
Accadrebbe quello che anche il più ingenuo può facilmente immaginare: il contratto nazionale varrebbe quanto la carta su cui è stampato, cioè nulla.
Se passa l’idea che una azienda può decidere come, dove, quando e soprattutto se applicare gli istituti contrattuali e gli accordi territoriali sottoscritti dalle centrali cooperative e dai sindacati, non solo si certifica l’inutilità dei tavoli su cui questi temi si discutono, ma si decide che il ruolo delle organizzazioni sindacali è puramente consultivo, mentre le centrali cooperative firmano materiali che le cooperative associate possono bellamente eludere.
Per quanto, come educatori contro i tagli, possiamo aver criticato il Ccnl delle cooperative sociali firmato lo scorso inverno da Cgil, Cisl e Uil, la battaglia che i lavoratori di Dolce stanno portando avanti ha un significato ancora più ampio, e in ultima istanza si tratta della difesa del valore unversale e della applicabilità del contratto di lavoro.
E’ dunque un punto politico prima ancora che economico.
Ad oggi nessuno ha gli strumenti per sapere se la difficoltà di Società Dolce è reale.
Di sicuro questa operazione ha tutto il sapore di una mossa ben architettata per scardinare un fragilissimo sistema di regole in un settore complicato da normare, in cui il confine fra il lavoro e il non lavoro è un margine sottilissimo.
E’ estremamente comprensibile la paura di tutti quei lavoratori che, all’interno di Dolce, temono per il proprio posto di lavoro, per le eventuali difficoltà della cooperativa.
Ma accettare le imposizioni unilaterali di Dolce significa prima di tutto accettare un metodo, accettare di aprire una porta attraverso la quale tutti gli altri vorranno passare, ed è la porta che conduce alla fine dei diritti contrattuali e al completo arbitrio dei datori di lavoro.
Ad oggi nessuno ha gli strumenti per sapere se la difficoltà di Società Dolce è reale.
Di sicuro questa operazione ha tutto il sapore di una mossa ben architettata per scardinare un fragilissimo sistema di regole in un settore complicato da normare, in cui il confine fra il lavoro e il non lavoro è un margine sottilissimo.
E’ estremamente comprensibile la paura di tutti quei lavoratori che, all’interno di Dolce, temono per il proprio posto di lavoro, per le eventuali difficoltà della cooperativa.
Ma accettare le imposizioni unilaterali di Dolce significa prima di tutto accettare un metodo, accettare di aprire una porta attraverso la quale tutti gli altri vorranno passare, ed è la porta che conduce alla fine dei diritti contrattuali e al completo arbitrio dei datori di lavoro.
Coordinamento Educatori Uniti Contro i Tagli
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