Il
profilo dell'educatore professionale: un groviglio che si può sciogliere -
Giorgio Pintus -
Pubblicato da Redazione il
26 luglio 2011
Un
contributo sulla complicata questione del riconoscimento dell'educatore senza
titolo, nello scenario riaperto dall'Accordo tra Stato, Regioni e Province
autonome dell'11 febbraio 2011.
Nel
corso del recente dibattito in Consiglio regionale sull’approvazione della legge del 14 luglio 2011 sul personale, la Giunta regionale della
Sardegna ha depositato un emendamento sul profilo dell’educatore che - per
quanto abbiamo capito - se posto in discussione e approvato, avrebbe
determinato un blocco nel lavoro di numerosi servizi sociali e la messa a
rischio di centinaia di posti di lavoro.
In
sintesi, l'emendamento della Giunta (in allegato), fortunatamente non portato
in votazione, prevede che gli educatori non provvisti dello specifico titolo
possano lavorare solo fino al 31 dicembre 2015 e “solo nella struttura
socio-assistenziale o nel servizio territoriale in cui si svolge l’attività
lavorativa alla data dell’approvazione della presente norma.”
Vogliamo
sperare che la mancata messa in votazione dell’emendamento sia il sintomo di un
ripensamento, seppure tardivo e non, invece, di un differimento solo tattico,
magari suggerito dalle asprezze del confronto instauratosi sul tema della
stabilizzazione dei precari.
Avendo
ascoltato l’opinione di alcune imprese sociali, dirigenti di associazioni
cooperativistiche e sindacalisti del settore pubblico, emerge la ragionevole e
condivisa certezza che l’unico effetto di tale normativa, se introdotta,
sarebbe il caos nella gestione di numerosi servizi educativi e la messa a
repentaglio del lavoro degli educatori “senza titolo”, senza alcun beneficio
sotto il profilo del perfezionamento del loro profilo professionale.
Con
queste righe desidero fornire un contributo sulla questione, confidando di
contribuire alla conoscenza di un groviglio che francamente dura da troppo
tempo.
Sarà
poi il lettore a decidere se e come questa materia possa essere assunta come un
emblema della difficoltà del nostro sistema formativo e di riconoscimento
professionale nell'affrontare situazioni complesse.
Nello
specifico, la condizione attuale è data dal fatto che l'educatore è formato
attraverso due percorsi universitari paralleli, affidati uno al corso di laurea
in Scienza della Formazione (“classe L 19 – Scienze dell’educazione e della formazione”)
l'altro alla Facoltà di Medicina e Chirurgia (“classe 2 – professioni sanitarie della
riabilitazione”), con l’effetto di un inevitabile problema di
coordinamento, normativo e pratico, nello sbocco dei due profili nel mercato
del lavoro. Un problema minimizzato in Sardegna per il semplice fatto che il
corso in medicina da noi non è mai stato attivato: minimizzato ma non assente,
se qualche ASL, nel recente passato, ha indetto gare d’appalto che indicavano
il titolo rilasciato da medicina (di fatto non reperibile in Sardegna !) per il
fabbisogno del profilo dell’educatore nei servizi oggetto d’appalto.
Nei
grandi numeri, prima che il profilo dell'educatore assurgesse alla dignità del
titolo di laurea, gli operatori sono stati formati attraverso percorsi diversi.
Percorsi
variamente modellati a seconda dell'esperienza maturata sul campo, nella
concreta partecipazione ai servizi socio-educativi magari accompagnata da
intense seppure non sistematiche o non riconosciute attività formative
"aziendali", passando per corsi regionali di formazione
professionale, di durata e consistenza variabile, fino ai corsi attivati in passato
da qualche USL.
In
sostituzione dell’educatore si è fatto largamente ricorso anche al profilo del
pedagogista, in taluni specifici casi a quello dello psicologo nonchè a
svariati altri profili di laureati o diplomati, se accompagnati da titoli
particolari (per esempio, l'abilitazione all'insegnamento) o, soprattutto, da
prolungate esperienze maturate sul campo.
Quindi
una gamma di percorsi e di profili, riconosciuti e non riconosciuti, adattatasi
nel corso di trent'anni alle evoluzioni normative e della domanda dei servizi,
nella cui vicenda si sono consumati molti silenziosi processi di esclusione,
realizzate svariate alchimie contrattuali (la più esplicita rappresentata dalla
distinzione tra educatori con e senza titolo nei principali contratti di lavoro
del settore a partire dal CCNL delle Cooperative sociali (link),
impiegate ingenti risorse destinate a diverse attività di formazione
professionale di incerta finalità ma sempre motivate dalla spinta degli
educatori al conseguimento di un riconoscimento definitivo dei propri status
professionali.
Un
processo segnato da centinaia di capitolati d'appalto di orientamento talvolta
contraddittorio, per non dire delle differenti giustificazioni date da numerosi
Comuni e da qualche Provincia alle proprie scelte di convenzionamento diretto e
poi di “stabilizzazione” degli educatori precari.
Su
tutto ciò si proietta l’ombra lunga della mancata attuazione dell’art. 12 della
legge
328/2000 ("Legge
quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali") che affidava la definizione
dei profili delle figure professionali sociali ad un successivo decreto del
Ministro per la solidarietà sociale, mai emanato dai Governi di diverso segno
che da allora si sono succeduti.
Ad
evitare appesantimenti non necessari, grazio i lettori di questa nota di ogni
approfondimento della norma per il riconoscimento dell'equipollenza tra i vari
titoli e profili (disponibile in allegato).
Così
come, per quanto riguarda l’intreccio con i temi del riconoscimento di altri
profili professionali di area sanitaria, rinvio alla lettura delle principali elaborazioni dei sindacati di settore (www.fpcgil.it, www.fp.cisl.it, www.uilfpl.it).
In
questo complicato scenario, il mio convincimento è che la soluzione stia
nell’attuazione del meccanismo del “riconoscimento
dell’equivalenza ai diplomi universitari dei titoli del pregresso ordinamento”,
previsto lo scorso 10 febbraio 2011 con un Accordo della Conferenza tra Stato, Regioni e Province autonome.
Si
tratta, in sintesi, di un dispositivo (già previsto da un’analogo Accordo del dicembre 2004, anche quello mai applicato) che,
se e quando attuato, permetterà agli operatori che possano vantare un certo
periodo di esperienza professionale e/o idonei titoli di formazione di vedere
valutata, esclusivamente ai fini dell'esercizio professionale autonomo o
subordinato, l’equivalenza del proprio profilo ai titoli universitari oggi richiesti
per lo svolgimento della funzione di educatore professionale.
Tutto
ciò sulla base dei criteri e delle procedure chiaramente individuati dall’Accordo
stesso (segnatamente agli artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 7), con un ruolo attivo della
Regione nell’istruttoria delle istanze individuali e nella valutazione dei
corsi di formazione previsti dai precedenti ordinamenti, in forza di un decreto
che dovrà essere emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi
dell’art. 10 del medesimo accordo.
Dovremmo
auspicare che questo dispositivo, dopo essere stato condiviso dalla Regione
sarda - che dobbiamo presumere sia parte attiva e propositiva del processo
istituzionale che si sviluppa nell’ambito della Conferenza unificata -
possa essere concretamente portato ad una rapida attuazione.
Chi
scrive, essendosi occupato in una vita precedente della definizione di un
accordo sindacale in materia (in allegato, vedi art. 8), aveva tentato di
portare ad attuazione il dispositivo, già presente nel precedente accordo del
16 dicembre 2004, purtroppo senza un risultato risolutivo.
Non
mi è dato capire perché quell'impegno non sia stato mantenuto, peraltro non
potendosi sostenere che la
Regione , nella scorsa legislatura, sia stata indifferente
all’esigenza del rafforzamento delle competenze professionali degli operatori
del Terzo settore.
Infatti,
nel 2008, attraverso una qualificata iniziativa di formazione professionale (programma Auxilium), è stata realizzata un’impegnativa
azione formativa, che prevedeva anche misure specifiche rivolte agli educatori,
rivolta a “contribuire
all’aggiornamento degli operatori del Terzo Settore e alla creazione di alcune
condizioni culturali e organizzative tali da garantire un governo del sistema
sociale efficace, integrato e coerente con le politiche regionali attraverso lo
sviluppo di competenze professionali funzionali allo sviluppo della
programmazione e valutazione delle politiche sanitarie e sociali, alla crescita
organizzativa, alla modernizzazione e all’integrazione dei servizi e al miglioramento
della qualità assistenziale”
Resta
il fatto che, naturalmente, la partecipazione degli educatori “senza titolo” a
quel percorso non potesse produrre il conseguimento di alcuna qualifica
professionale.
Anche
per questo, nel 2009 è stata introdotta con l'articolo 15 della Legge regionale 7 agosto 2009, n. 3 “Disposizioni urgenti
nei settori economico e sociale”, una norma (elaborata dall’allora Dirigente
delle politiche sociali, autorevole ed esperto quindi tempestivamente
accantonato dall’attuale Giunta) con la quale, nelle more di una più ampia
risoluzione del problema, si stabiliva che “gli educatori di ruolo e non di ruolo e i
titolari di servizi educativi per la prima infanzia, in possesso di diploma di
scuola media superiore anche ad indirizzo non educativo che hanno maturato,
alla data di entrata in vigore della presente legge, almeno cinque anni di
esperienza lavorativa nei servizi territoriali socio-assistenziali e/o sanitari
pubblici e privati nello svolgimento delle funzioni di educatore nei settori
sociale e sanitario.”
In
questo scenario, si è affacciato in Consiglio regionale questo emendamento
della Giunta che si colloca nella vicenda con la stessa armonia con cui un
gruppo di mamuthones prenderebbe il sole ad agosto nel nostro Poetto.
Allora,
con tutti presupposti, ai quali si può aggiungere la constatazione dell’assoluta
sterilizzazione del processo di riforme avviato dalla precedente Giunta e, in
particolare, dall’Assessore Nerina Dirindin, il sommesso suggerimento che
verrebbe da avanzare alla nostra Giunta regionale è di “quieta non movere”
e di attendere il DPCM di cui all’art. 10 dell’Accordo del 10 febbraio 2011.
Potrebbe
bastare, insomma, che questa nostra Amministrazione continui a non dare mostra
di attivismo e che - per favore – non si muova, accantoni definitivamente
quell’orribile emendamento, promettendo con un solenne giurin giuretto
di non infilarlo in nessuna legge di prossima discussione.
Si
attenga, insomma, alla regola di quel
tale che raccomandava “Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può
parlare, si deve tacere”.
Tuttavia,
nonostante tutto, da tempo ritengo che sia necessario non solo un presidio ma un rilancio delle politiche
sociali in Sardegna.
E,
quindi, se la Giunta
fossa assalita da un tremito di ottimismo della volontà, allora potremmo
immaginare che si impegni a realizzare qualche misura condivisa, compresa
un’azione di accompagnamento all’Accordo del 10 febbraio e di preparazione
della Conferenza dei servizi che dovrà essere indetta dal Ministero della
Salute sulla base dell’art. 7 comma 5 dell’Accordo medesimo.
Un’azione
che potrebbe consistere perlomeno in tre misure:
-
una valutazione ed un monitoraggio complessivo dei pregressi titoli formativi
rilasciati dalla formazione professionale e attualmente rilasciati dai canali
di formazione universitaria, utili per lo svolgimento delle funzioni
riconducibili alla figura dell’educatore professionale nel settore dei servizi
sanitari, socio-assistenziali e socio-sanitari;
- un
monitoraggio preliminare degli educatori senza titolo residenti nella regione,
potenzialmente interessati all’attuazione dell’Accordo del 10 febbraio 2011;
-
un’iniziativa di sensibilizzazione delle Università degli studi di Cagliari e
di Sassari, rivolta alla successiva attivazione del “percorso di compensazione
formativa”, in base ai criteri che devono essere individuati dal Ministero
dell'istruzione, dell'università' e della ricerca.
Mi
limito a considerare l’involontaria ironia insita nell’immagine del nostro
Presidente del Consiglio chino e pensieroso sui problemi degli educatori, per
cui nelle more dell’emanazione dell’atteso DPCM, “tra vidiri e svidiri”, suggerirei anche che la Regione , d’accordo con le
Università degli Studi di Cagliari e di Sassari, contribuisca alla
realizzazione di condizioni di facilitazione didattica ed organizzativa per il
conseguimento, da parte degli educatori senza titolo che ne avanzino richiesta,
della laurea in Scienza dell’educazione, fondato sul pieno riconoscimento dei
crediti formativi derivanti dalle esperienze professionali maturate e dai
titoli formativi posseduti (per i cultori della materia, secondo le previsioni dell’art. 5,
comma 7, del D.M. 270/2004 - Modifiche al regolamento sull’autonomia
didattica degli Atenei).
In
quest’ultimo modo, praticamente, l’Amministrazione regionale - non potendo
garantire che il Governo nazionale, come in mille altri casi ben più eclatanti,
attui per davvero gli impegni che pure ha già sottoscritto con le Regioni e con
le Province autonome - avrebbe l’onestà di avvertire tutti gli educatori del
fatto che, pur assumendo in pieno l'obiettivo di accompagnare il riconoscimento
dell’equivalenza, c’è un interesse generale a porre la parola fine a questa
interminabile vicenda.
Essendo
chiaro a tutti che il fabbisogno di educatori oggi può e deve
essere sopperito, al meglio delle potenzialità del sistema, attraverso il percorso
universitario vigente.
Da
parte mia, auguro a tutti gli educatori (con e senza titolo) un buon periodo di
studio e lavoro, in preparazione di tempi migliori.
( Fonte: (http://www.area89.it/post/2011/07/26/Il-profilo-delleducatore-professionale-un-groviglio-che-si-puo-sciogliere-Giorgio-Pintus-.aspx)
Piano formativo per
educatori senza titolo
(Fonte: www.confcooperative.sardegna.it)
la laurea in Scienze dell'Educazione conferisce il titolo di "Educatore professionale", per lavorare con soggetti disabili ed a rischio di devianza si acquisiscono le dovute competenze pedagogiche e psicologiche per far fronte ai diversi casi...
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