Spendere. Per quale sicurezza?
La campagna "Taglia le ali alle armi", per chiedere al governo la rinuncia all'acquisto di 90 cacciabombardieri F35, promossa da Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Tavola della Pace e sottoscritta da 75.000 cittadini, 50 Enti Locali e 650 associazioni tra cui anche il Gruppo Abele, è giunta al termine della sua seconda fase. Chiusa la raccolta firme, il 12 luglio una delegazione è stata ricevuta in Senato per discutere le spese militari e in particolare lo spreco costituito dai caccia Joint Strike Fighter. In un momento di profonda crisi economica, in cui i tagli privano i cittadini di servizi fondamentali, ogni acquisto merita un'analisi approfondita. Abbiamo discusso la questione con Giulio Marcon, responsabile di Sbilanciamoci!
La spending review taglierà servizi, sanità, impiego e molto altro. Anche la difesa fa parte del progetto di oculatezza degli sprechi e revisione della spesa pubblica. In cosa consiste il risparmio trascritto nel DDL Di Paola, e quanto è influente sul bilancio italiano?
I tagli alla difesa sono molto modesti, soprattutto tenendo conto dell'entità di quelli praticati in altri settori. Si tratta di poche decine di milioni di euro. Per di più bisogna considerare che il denaro accumulato tramite questa manovra, derivante dai tagli al personale e dalla dismissione di alcuni beni, sarà reinvestito nello stesso maxi contenitore della difesa. Insomma, non ci sarà un risparmio vero e proprio, bensì, come detto dal governo stesso, si tratterà di una 'rimodulazione' della spesa. Anche i risparmi derivanti dalla riduzione degli organici delle forze armate, che avverrà in molti anni e per un numero limitato di persone (circa 30.000), sono relativi. Relativi perché coloro che verranno messi in mobilità continueranno a ricevere il 95% dello stipendio (praticamente uno stipendio pieno) e si tratterà sostanzialmente di militari prossimi alla pensione.
75.000 firme di cittadini, 650 associazioni, il sostegno di oltre 50 Enti Locali (tra Regioni, Province e Comuni). Questi i numeri della campagna. Al di là dei numeri e dopo la discussione in Senato, come giudica il grado di consapevolezza da parte degli italiani sulla questione 'spesa pubblica'?
Sebbene rimangano in piedi luoghi comuni e pregiudizi legati alla spesa pubblica del nostro Paese, il grado di consapevolezza cresce di giorno in giorno. È vero che l'Italia ha un debito pubblico molto alto, prossimo al 125%. Come è vero che in molti settori della spesa pubblica abbiamo importi inferiori alla media degli altri Paesi europei, ad esempio nel campo delle politiche sociali, della famiglia, della scuola. Bisognerebbe ridistribuire gli investimenti e spendere di più in alcuni settori capaci di creare sviluppo e migliorare le condizioni di vita delle persone. E di questo gli Italiani sono oggi più consapevoli.
Sui tagli alla Difesa, molti esponenti politici sembrano avere oggi meno remore a sottolineare la necessità di un "dimagrimento" degli investimenti in questo settore. Si tratta di una strategia da campagna elettorale che ha "letto" l'umore dell'opinione pubblica o davvero qualcosa sta cambiando nella linea politica su questo argomento?
Le campagne di riduzione della spesa militare erano, fino a pochissimo tempo fa, fortemente connotate in senso pacifista. Oggi tutti capiscono che spendere oltre dodici miliardi in caccia bombardieri, che tra l'altro non servono a garantire la sicurezza contro quelle minacce che vengono elencate nei documenti del Ministero della difesa - vedi il terrorismo, il terrorismo cibernetico, i flussi migratori, la produzione di armi di distruzione di massa - è uno sforzo inutile. Allo stesso tempo tutti hanno sotto gli occhi la scomparsa, in nome del risparmio, di prestazioni pubbliche fondamentali per i cittadini (come quelle sanitarie). È semplice allora comprendere come le ragioni di una campagna come "Taglia le ali alle armi" siano ampiamente condivise. E la politica, di conseguenza, non può restare sorda alle sollecitazioni del Paese, tanto più che, il dispiegamento di forze utilizzato per la difesa del Paese è (per numero e per poteri assegnati) palesemente sovradimensionato rispetto alle necessità del Paese stesso.
Lei fa parte di Sbilanciamoci! e ogni anno contribuisce alla creazione di una legge finanziaria "alternativa" a quella scritta dal governo. In cosa e come andrebbero spesi i fondi destinati a questi aerei da battaglia, i cui costi oscillano tra gli 80 e i 130 milioni di dollari l'uno?
Noi abbiamo fatto tante proposte: c'è l'imbarazzo della scelta! Con una parte di quei soldi si potrebbero mettere in sicurezza le 10.000 scuole del nostro Paese che non rispettano la 626, le norme antincendio, quelle antisismiche. Si potrebbe dare sicurezza alle famiglie e creare nuovi posti di lavoro. Molti più che con le grandi opere, che non servono al nostro Paese.
Oppure si potrebbe fare un piano straordinario di asili nido e interventi per la non-autosufficienza. Settori in cui il nostro Paese è ancora molto indietro, e anche qui si inciderebbe sull'occupazione.
Ancora, si potrebbe fare un piano di riassetto idrogeologico della nostra penisola. Ogni anno in Italia si verificano frane e alluvioni che causano molti morti oltre che i seguenti costosissimi interventi di emergenza. Con questa attività di prevenzione potremmo diminuire le tragedie come anche gli improvvisi buchi di bilancio che servono per affrontale in maniera emergenziale. I fondi destinati agli F35 andrebbero incanalati in un ciclo di interventi 'per' il Paese. Interventi utili alla sopravvivenza e alla rinascita del lavoro italiano.
(Toni Castellano)
La spending review taglierà servizi, sanità, impiego e molto altro. Anche la difesa fa parte del progetto di oculatezza degli sprechi e revisione della spesa pubblica. In cosa consiste il risparmio trascritto nel DDL Di Paola, e quanto è influente sul bilancio italiano?
I tagli alla difesa sono molto modesti, soprattutto tenendo conto dell'entità di quelli praticati in altri settori. Si tratta di poche decine di milioni di euro. Per di più bisogna considerare che il denaro accumulato tramite questa manovra, derivante dai tagli al personale e dalla dismissione di alcuni beni, sarà reinvestito nello stesso maxi contenitore della difesa. Insomma, non ci sarà un risparmio vero e proprio, bensì, come detto dal governo stesso, si tratterà di una 'rimodulazione' della spesa. Anche i risparmi derivanti dalla riduzione degli organici delle forze armate, che avverrà in molti anni e per un numero limitato di persone (circa 30.000), sono relativi. Relativi perché coloro che verranno messi in mobilità continueranno a ricevere il 95% dello stipendio (praticamente uno stipendio pieno) e si tratterà sostanzialmente di militari prossimi alla pensione.
75.000 firme di cittadini, 650 associazioni, il sostegno di oltre 50 Enti Locali (tra Regioni, Province e Comuni). Questi i numeri della campagna. Al di là dei numeri e dopo la discussione in Senato, come giudica il grado di consapevolezza da parte degli italiani sulla questione 'spesa pubblica'?
Sebbene rimangano in piedi luoghi comuni e pregiudizi legati alla spesa pubblica del nostro Paese, il grado di consapevolezza cresce di giorno in giorno. È vero che l'Italia ha un debito pubblico molto alto, prossimo al 125%. Come è vero che in molti settori della spesa pubblica abbiamo importi inferiori alla media degli altri Paesi europei, ad esempio nel campo delle politiche sociali, della famiglia, della scuola. Bisognerebbe ridistribuire gli investimenti e spendere di più in alcuni settori capaci di creare sviluppo e migliorare le condizioni di vita delle persone. E di questo gli Italiani sono oggi più consapevoli.
Sui tagli alla Difesa, molti esponenti politici sembrano avere oggi meno remore a sottolineare la necessità di un "dimagrimento" degli investimenti in questo settore. Si tratta di una strategia da campagna elettorale che ha "letto" l'umore dell'opinione pubblica o davvero qualcosa sta cambiando nella linea politica su questo argomento?
Le campagne di riduzione della spesa militare erano, fino a pochissimo tempo fa, fortemente connotate in senso pacifista. Oggi tutti capiscono che spendere oltre dodici miliardi in caccia bombardieri, che tra l'altro non servono a garantire la sicurezza contro quelle minacce che vengono elencate nei documenti del Ministero della difesa - vedi il terrorismo, il terrorismo cibernetico, i flussi migratori, la produzione di armi di distruzione di massa - è uno sforzo inutile. Allo stesso tempo tutti hanno sotto gli occhi la scomparsa, in nome del risparmio, di prestazioni pubbliche fondamentali per i cittadini (come quelle sanitarie). È semplice allora comprendere come le ragioni di una campagna come "Taglia le ali alle armi" siano ampiamente condivise. E la politica, di conseguenza, non può restare sorda alle sollecitazioni del Paese, tanto più che, il dispiegamento di forze utilizzato per la difesa del Paese è (per numero e per poteri assegnati) palesemente sovradimensionato rispetto alle necessità del Paese stesso.
Lei fa parte di Sbilanciamoci! e ogni anno contribuisce alla creazione di una legge finanziaria "alternativa" a quella scritta dal governo. In cosa e come andrebbero spesi i fondi destinati a questi aerei da battaglia, i cui costi oscillano tra gli 80 e i 130 milioni di dollari l'uno?
Noi abbiamo fatto tante proposte: c'è l'imbarazzo della scelta! Con una parte di quei soldi si potrebbero mettere in sicurezza le 10.000 scuole del nostro Paese che non rispettano la 626, le norme antincendio, quelle antisismiche. Si potrebbe dare sicurezza alle famiglie e creare nuovi posti di lavoro. Molti più che con le grandi opere, che non servono al nostro Paese.
Oppure si potrebbe fare un piano straordinario di asili nido e interventi per la non-autosufficienza. Settori in cui il nostro Paese è ancora molto indietro, e anche qui si inciderebbe sull'occupazione.
Ancora, si potrebbe fare un piano di riassetto idrogeologico della nostra penisola. Ogni anno in Italia si verificano frane e alluvioni che causano molti morti oltre che i seguenti costosissimi interventi di emergenza. Con questa attività di prevenzione potremmo diminuire le tragedie come anche gli improvvisi buchi di bilancio che servono per affrontale in maniera emergenziale. I fondi destinati agli F35 andrebbero incanalati in un ciclo di interventi 'per' il Paese. Interventi utili alla sopravvivenza e alla rinascita del lavoro italiano.
(Toni Castellano)
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